IRA . Racconti da Kepler
Il Buono, il Brutto e il Cattivo
In 23 Dicembre 2016 da Il Viaggiatore
Ho scalzato dal suo ruolo Il Viaggiatore. Non festeggia il Natale su Kepler452 ma è come se lo avessi costretto ad andare in vacanza. Tutto è nato in redazione, quando ho sbirciato i suoi appunti e le sue ricerche. Oggi, esattamente 50 anni fa, veniva proiettato per la prima volta al pubblico un classico del grande schermo italiano, destinato a diventarlo del cinema western: Il Buono, il Brutto, il Cattivo. Senza dubbio un capolavoro della nostra produzione, un film che ha varcato inevitabilmente i confini con un cast italiano di primissimo livello e un cast internazionale o già in auge come Lee Van Cleef (Sentenza, il Cattivo) ed Eli Wallach (Tuco, il Brutto) e un attore destinato a entrare nel gotha hollywoodiano, forse, qui azzardo, più come regista che come attore: Clint Eastwood (L’uomo senza nome, Il Biondo, il Buono). Seven, lo avrete capito, ha un debole per lui e non ha esitato un secondo a festeggiare i suoi 86 anni il 31 maggio scorso.
In realtà, di questo film, visto e rivisto, raccontato e ri-raccontato, si è detto tutto e il suo contrario. Questo è il terzo episodio della trilogia del dollaro (con i precedenti Per un pugno di dollari e Per qualche dollaro in più), quella che ha visto la costante presenza di Eastwood e del suo poncho, sì, sempre lo stesso. Poncho e sigaro, che passa da un lato all’altro della bocca, questo si sa, perché Clint non amava fumare.
Sfogliando gli appunti del nostro alieno, che non vi racconterà dal vivo la sua esperienza diretta con gli occhi partecipati di chi vive un’emozione nuova, anzi la ricerca per conoscere meglio tutti noi, ho pure scoperto una tranciante recensione de L’Unità, dove questo capolavoro non ne usciva certamente bene: un film che puzza di cadavere come il nostro cinema e ne veniva stroncata pure la colonna sonora! Non è in discussione il fatto che pure oggi esistano i poco entusiasti della cinematografia di Leone come delle interpretazioni di Eastwood, che dal Maestro italiano ha preso molto quando si è accomodato dietro la macchina da presa. Ma ripensare a un giudizio poco lusinghiero nei confronti di Ennio Morricone appare ancor più sorprendente. Da qui la considerazione del tempo, di come cambiano i giudizi e di conseguenza il nostro approccio: passi l’effetto nostalgia che ogni tanto ci coglie, vale a dire, ciò che “schifi”, magari, in gioventù, ti fa – e la cosa ti sorprende – battere il cuore o scendere una lacrima mal celata quando si avvicina l’età dei rimpianti, più che quella dei rimorsi. Rimane però indubitabile che siamo all’interno della casella: terribile cantonata de L’Unità, per esempio.
Il cinema, come le altre arti, è soggetto alla stroncatura e alla riabilitazione, come, ancor peggio, all’esaltazione per il gusto sadico di distruggere un mito. Lo hanno fatto con James Dean, e lo stesso Viaggiatore era presente il giorno dell’incidente. Hanno stroncato, riabilitato e scandagliato Marylin, donna unica anche nelle sue paure, dolcezze e sofferenze.
Rimane incredibile pensare come la scena del celeberrimo Triello, frutto di citazione e successivamente citata, possa considerarsi come inguardabile o giù di lì. Sette minuti sono tanti, vero, il ritmo è lento, ma il cinema era così veloce in quegli anni?; i tagli del montaggio regalano dettagli che sono stile e caratteristica: i tre duellanti hanno un linguaggio degli occhi differente con cui restituire un alto valore alla recitazione e restituire le evidenti differenze tra Sentenza, Tuco e il Biondo. Con tutta probabilità, nell’era della incomunicabilità della coppia, del viaggio onirico o del capolavoro radical-chic all’etichetta “americanata” il passo è stato breve. Ma come non percepire l’inutilità della guerra, in questo caso di Secessione, e il ruolo dei personaggi che l’attraversano presi da interessi personali.
Non ricordo la prima volta che ho visto il film ma ogni volta riesco a coglierne una sfumatura di altissimo cinema. Eastwood dirà che era un americano sconosciuto che recitava in Spagna con un regista italiano. E proprio a “Sergio” dovrà tantissimo e ci sembra non lo abbia mai scordato, rendendogli pure omaggio nel film che forse chiude un ideale cerchio: Gli spietati, dove la leggerezza della morte si tramuta nella consapevolezza del togliere la vita. La narrazione è cambiata, perché se nel 1966 la battuta sul mondo che si divide in due categorie, “chi ha la pistola carica e chi scava: tu scavi”, appare leggera, pone Tuco come vittima quasi comica e induce al sorriso, tono ben diverso assume, “Allora, sto uscendo. Se vedo qualcuno là fuori l’ammazzo. Se qualche figlio di puttana mi spara addosso non ammazzo soltanto lui, gli ammazzo anche la moglie e tutti i suoi amici. E poi gli brucio anche la casa” pronunciato questo volta da un Eastwood/William “Bill” Munny, ormai vecchio e soprattutto stanco.
Rimane un fatto indiscutibile: siamo cresciuti nel mito dell’America e il West ne era una parte molto rilevante, senza quasi sapere dove fosse, giocando a cowboy e indiani, correndo nei prati come se fossimo Buffalo Bill e imitando con la bocca il verso dei cavalli o quello dei pellerossa che attaccavano e che consideravamo i cattivi (fino a quando il cinema ci disse che forse avevano qualche ragione).
Se dovessi definire Il buono, il brutto e il cattivo direi che è uno splendido cinquantenne, magari con qualche acciacco ma sempre interessante, godibile e con una colonna sonora da brividi. Del resto, come si fa a resistere alla chiusura di Tuco che dice: “Ehi, Biondo, lo sai di chi sei figlio tu?” e se la musica non gli permette di concludere lo fa dire probabilmente a noi, consumati appassionati di Leone, di Eastwood e della polvere del West.
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