INVIDIA . Lector In Invidia
Come Quando Fuori Piove
In 17 Novembre 2016 da Attilia Patri DPA Washington D.C., 1600 Pennsylvania Avenue c’è una casa in affitto: minimo quattro anni salvo imprevisti, massimo otto anni anche se ci si trova bene. Una casa in turnover. L’affitto non è a domanda diretta ma richiede la mediazione di intermediari che con il loro voto di preferenza permettono agli interessati di stipulare il contratto di locazione temporanea.
I dati certi sono che da questa casa una donna deve uscire e una nuova deve entrare: sarebbe uscita Michelle e sarebbe dovuta entrare Hillary, il cavallo di razza dato vincente dagli scommettitori; vincente a parole. È entrato il cavallo di razza sul quale, invece, e inaspettatamente, gli aventi diritto hanno votato, offuscando ogni previsione. In questa casa, quindi, si entra per fatti e non per parole: “fatti non parole” come la vecchia pubblicità che qualcosa ancora insegna.
Nella scommessa finale il gioco dei poteri ha dato il suo esito e anche la casa sembra una casa in gioco lanciata sul tappeto verde del tavolo da poker e, come un poker ha le sue regole, CQFP: Come Quando Fuori Piove. Cuori, Quadri, Fiori, Picche. La casa è donna e anche quella Bianca non fa eccezione e il poker è di donne: C di cuori Melania, Q di quadri Ivanka, F di fiori Michelle, P di picche Hillary.
C di cuori Melania, 46 anni, terza moglie del nuovo Presidente; nata in Slovenia come Melanija Knavs, diventata Melania Knauss negli Stati Uniti termina il suo percorso come Melania Trump in un continuo e dinamico trasformismo di comodo che ne fanno una predestinata, una donna in divenire a cominciare dal nome per finire col look che, progressivamente, in questi mesi di campagna elettorale, ha virato verso quello di First Lady; dal beachwear da passerella ai vestiti bon ton dai colorini pastello; un look non tanto diverso da quello della più fresca ma altrettanto regnante Kate Middleton, tanto che, guardando in quest’ottica, il potere forte sembra essere depositato nei colori chiari che già hanno annebbiato i toni forti e a volte un po’ etnici dell’uscente Michelle.
Difficile immaginarla in una cucina, anche se della Casa Bianca, a impastare cupcake come la Barbara di Bush o nell’orto di Michelle a innaffiare fagiolini. D’altra parte come darle torto? Perché dare un’immagine forzata di un sé che non ci rappresenta? Vista da vicino colpisce l’eredità genetica fortunata di un certo tipo di fisico dei quali i ben informati danno addirittura i numeri (97-66-94 x 1,80) e tutti, anche se non siamo geometri specializzati, credo che possiamo convenire che queste basi per altezza diano luogo a figure geometriche altamente apprezzabili. Poi c’è quel volto che gli addetti ai lavori chiamano strong face, letteralmente “faccia poderosa” che, per qualcuno, sarebbe il risultato di un eccesso di filler che avrebbe immobilizzato il sorriso retrodatandolo a dieci anni fa. Lei nega, ma i soliti ben informati, i maligni e i gelosi insistono nel confermarlo. Noi che siamo obiettivi diciamo solo che, filler o no, un conto è rimettere a lucido una Ferrari e un altro è una Fiat Duna e, per noi, lei è un po’ una Ferrari o una Lamborghini se proprio la Ferrari non è di nostro gradimento, comunque sempre di quei livelli si parla. Occupa lo spazio come se fosse lì per caso; la pregressa attività di modella l’ha svezzata per cui passa e sfila in tutte le circostanze con naturalezza o in modo studiato che è comunque diventato naturalezza; per quanta finzione ci sia rende bene il naturale, la consapevolezza del sé, sembra First Lady da sempre, la più bella da adesso. Il piglio da “posso, voglio, comando”, che piaccia o no, c’è. Se essere Prima Donna è uno stato a cui pervenire lei, più che pervenire, sembra essere già, semplicemente di suo. Donald è un dettaglio.
Di suo c’è anche che è poliglotta (cinque lingue), ha frequentato Architettura e Design pur non conseguendo il titolo finale, ha girato e conosce il mondo e sa come vanno le cose e di lei, dopo un’intervista, dissero: “Forse perché è così carina non ci aspettiamo che sia intelligente così come è”. La cosa, naturalmente, non ci sorprende. Sembra che le donne non possano coniugare bellezza e intelligenza anche se siamo nel Paese delle opportunità e del Sogno per eccellenza. Sottovalutare questa possibilità se da sempre è da pressapochisti, nel caso specifico è da stolti. E se ancora non si sa cosa farà di eclatante, anche se già varie volte ha ribadito che si batterà per le donne e i bambini, stando ai mezzi di informazione una cosa sembra sicura: rilancerà il tubino che può sembrare una quisquiglia ma intanto è già un’allerta per le case e i giornali di moda e per chi si occupa di tendenze e, idealmente, ha abbracciato tutte le donne del pianeta che ben sanno che con un tubino nell’armadio cambiando tacchi e giocando con gli accessori possono stare fuori casa tutto il giorno ed essere a posto in ogni circostanza. Il tubino sembra essere anche il tratto comune che la lega a Ivanka di undici anni più giovane che insieme a lei completa il trittico ”Donald e le donne di Casa Bianca”.
Q di quadri Ivanka, 35 anni, figlia prediletta del tycoon americano, pacata, educata, colta, è considerata il vero biglietto da visita dell’Impero Trump. Nota per il suo acume in affari e politica è la consigliera del padre fungendo anche da antidoto agli eccessi di Donald. In breve: un’intelligenza brillante e perspicace con funzione anche di coscienza prêt-à-porter per il padre. È stata lei, infatti, a salvare il futuro Presidente durante la corsa alla Casa Bianca dallo scandalo delle frasi sessiste assicurando che Mr. Trump “premia il talento delle donne, di come le donne all’interno dell’azienda di famiglia possano ambire a ruoli di alto livello, facciano carriera e abbiano un compenso uguale a quello degli uomini e l’intenzione del padre di modificare le leggi americane per cercare di garantire più diritti alle lavoratrici”. Se guardiamo il panorama italiano dell’occupazione femminile, un po’ sempre al palo nella salita dei ruoli e delle agevolazioni, dobbiamo prendere atto che argomentazioni migliori non poteva trovare per acquietare gli animi, da un lato, e oscurare ancora di più la figura di Hillary, dall’altro.
Ivanka, di tutte le donne del clan, moglie compresa, è quella che, in questa campagna elettorale, ci ha messo più la faccia e, forse, per la prima volta negli Stati Uniti una figlia, una First Daughter, potrebbe addirittura oscurare il ruolo istituzionale della First Melania. Incarna, in tutto e per tutto, il simbolo di una moderna donna di successo: laureata a pieni voti in Economia, imprenditrice, modella, attuale vicepresidente della Trump Organization, l’azienda di famiglia. Inutile che i soliti invidiosi dicano “bello sforzo” l’ha sistemata il padre. Il padre l’avrà anche sistemata ma a ragion veduta perché Oltreoceano, anche se chiami tuo cugino a piantar due chiodi in casa, il cugino si fa pagare, perché lì funziona così: gli affari sono affari, il lavoro è il lavoro, la parentela è la parentela, ma non te ne esci gratis e, a capo dell’azienda, sarai anche mia figlia ma ti ci metto solo se “tu si que vales”. No perdite, né di tempo, né tanto meno di utili. Nell’insieme della sommatoria bella, giovane, intelligente e intraprendente, quando si tratta di affari, intelligente e intraprendente sono il pallino che fa punto. Il resto se c’è (e, in questo caso, c’è) meglio, ma è di contorno. In più è madre di tre figli il che non guasta per ultimare il ritratto tipo della donna ideale: lavoratrice, moglie, mamma, specie se il ritratto si avvale anche della formuletta magica di “madre esemplare”, che tanto piace ai Repubblicani.
Quindi, per come ci sono state presentate dai mezzi di informazione, per quanto belle, con lussi, privilegi, agi principeschi da torre d’avorio, anzi, da Trump Tower le donne dell’andiamo a comandare più che donne-vetrine sono donne cardine e i tabloid americani già hanno previsto una dura lotta tra le due a colpi di gossip e rumors ma anche consigli glamour e di stile di vita. Per gli affezionati del bel mondo non resta che abbonarsi a qualche giornale dedicato e leggere cosa succederà.
F di fiori Michelle, 52 anni nata LaVaughn Robinson. Laurea in Legge ad Harvard e attività esercitata inizialmente presso il piccolo studio di Sidley Austin dove, nel 1988, diventa assistente e successivamente moglie di Barack Obama. Alla morte del padre lascia lo studio legale per dedicarsi al lavoro nel settore pubblico fino a tre mesi prima dell’inizio della Campagna elettorale del marito. Michelle ha fatto comizi elettorali pro Obama indossando la parte di una di voi, come voi e avvalendosi di uno staff tutto femminile di assistenti per il suo ruolo politico. Jennifer Hunter scrisse di lei: “…era una palla di cannone, esprimeva una passione determinata per la campagna del consorte, parlando dritto al cuore con eloquenza ed intelligenza”. La rivista Essence la collocò, già nel 2006, tra le “25 donne più ispiratrici del mondo”. Diciamoci la verità: non è proprio cosina da poco. Nei comizi descriveva se stessa come non diversa da tante altre donne e la sua famiglia come la materializzazione del Sogno americano; il sogno americano è un evergreen, sempre: “si lavora duramente per ciò che si vuole raggiungere nella vita”. Metteva in piedi parole e fatti e di se stessa ebbe a dire: “Barack e io siamo stati di pubblico dominio per molti anni e ci siamo fatti la pelle dura durante il percorso. Quando si è fuori a fare Campagna, ci saranno sempre delle critiche. Io prendo tutto così come viene e alla fine della giornata so che arriverò alla fine”; in poche parole non guarda in faccia nessuno e tira dritto per la sua strada ma sempre apparendo “genuina e, francamente, familiare” (Ezra Klein), una del popolo.
Prima donna afroamericana alla Casa Bianca, e per questo mi piace pensarla come due volte First, 1,81 di altezza per un fisico imponente che ha cercato di valorizzare con stile personale, a volte discutibile, affidandosi ad una palette di colori sempre decisa e a tante stampe floreali. Di lei dicono che lascia una eredità in fatto di stile; come nessun’altra prima di lei; anzi, prima di lei solo Jackie Kennedy. Io non scomoderei il paragone con Jackie Kennedy Onassis non solo per Michelle ma neanche per il nuovo che avanza – Melania e Ivanka – perché le epoche sono molto distanti tra loro, diversa era la geografia fisica e politica, gli scandali avevano valenza e portata non confrontabili e anche l’arrivismo aveva delle ragioni di Stato o personali non comparabili con i significati di oggi e per mille altre ragioni compreso il Presidente JFK, la sua fine, la creazione del mito e tutta la saga dei Kennedy che la Storia americana, nel bene o nel male, l’hanno veramente segnata. Se proprio vogliamo parlare di eredità di stili di vita possiamo dire che Michelle verrà ricordata per la sua lotta contro l’alimentazione junk food, il cibo spazzatura, l’obesità e per la promozione di comportamenti salutisti. Verrà ricordata anche per la realizzazione dell’orto nella Casa Bianca come esempio di produzione di qualità a km 0, orto che i prossimi inquilini sembrerebbero intenzionati a smantellare e trasformare in campo da minigolf più parcheggio per i suv. D’altra parte ognuno a casa sua…
Da buona padrona di casa in carica, Michelle ha ricevuto il 10 novembre Melania per agevolare la transizione del cambio casa sul piano logistico; le ha mostrato la dimora in cui la nuova coppia presidenziale dovrà vivere a partire dal prossimo 20 gennaio, lo studio ovale da dove partiranno decisioni e poi, naturalmente, hanno parlato di come sia crescere i figli a Washington. Insomma, i soliti discorsi davanti a un caffè tra donne in visita che tengono famiglia.
P di picche Hillary, 69 anni laureata in Scienze Politiche, già First Lady e Segretario di Stato per due mandati nell’era Bill e talmente influente sulla politica del marito che in molti la definirono come una delle donne più significative della Casa Bianca dai tempi di Eleanor Roosevelt. Coltivava da anni il sogno di tornare in quella Casa. Quel sogno di affermazione che già accarezzava fin da giovane quando primeggiava nei corsi universitari salendo già allora alla ribalta nazionale, sogno accantonato per seguire quello del marito e che adesso poteva rielaborare in piena autonomia e come riscatto agli occhi del mondo, quasi una gomma che cancellasse lo scandalo del Sexygate e riabilitasse la sua figura non solo tradita ma disposta al perdono in nome della Politica e del rimanere in Politica e scambiarsi il turno di manovratore con il marito.
Quel sogno infranto contro il tetto di cristallo del Javits Center che si è rivelato infrangibile e non ha portato rivoluzione ma delusione e disperazione perché è una sconfitta finale e solitaria di una predestinata superata nell’ultimo tratto della corsa quando già sentiva profumo di obiettivo raggiunto e intascato. Un conto senza l’oste di turno che da elemento quasi caricaturale, messo lì perché un’opposizione ci vuole, diventa l’elemento prevaricatore, la suola impolverata da cowboy che tutto calpesta e affossa mentre l’anima schiacciata esala progressivamente soffi di ottimismo e inspira stupore, smarrimento, dolore, rabbia in successione spasmodica. Nello scorrere delle ore negative, mentre si spengono le illusioni, si accendono i riflettori sugli errori che hanno portato alla disfatta: un discorso politico che è sembrato limitarsi a fermare Trump più che presentare vera innovazione per il Paese, l’essere stata per troppi anni in politica reinventandosi sempre in nuovi ruoli, il sottovalutare i piccoli e i grandi scandali che ne hanno minato la credibilità (dai più remoti al sospetto più recente della malattia, all’indagine sulle email), l’antipatia profonda e antica che suscitava in vaste aeree elettorali, il non aver saputo far riemergere nella classe media il Sogno americano ormai svanito, la sua incapacità di sembrare autentica e di entrare in empatia con l’opinione pubblica, quel suo apparire sempre costruita, programmata, mai naturale; la sensazione di emanare, benché sorridesse, freddezza e distacco.
La parte più significativa della Campagna di Hillary è stata nel discorso finale, a giochi finiti e persi, quando si è rivolta alle bambine e alle ragazze affinché siano sempre consapevoli del proprio valore e della propria forza nel perseguire obiettivi. “Qualunque cosa accada stanotte, grazie di tutto”. Quasi un presentimento velato di amarezza per una vittoria che, almeno all’inizio, sembrava facile ma non si è rivelata tale. La parabola di Hillary è finita, a un soffio dalla fine.
Un dubbio, tuttavia, rimane soprattutto vedendo su chi è caduta la scelta finale, l’apposizione della spada che proclama l’eletto sulla spalla di un uomo che sembrava perdente e tagliato fuori già in partenza: Hillary ha perso perché donna? Nel corso della Campagna elettorale a lui hanno perdonato tutto, a lei niente confermando la regola di Rosabeth Moss Kanter secondo la quale “i difetti di una donna si vedono di più, per questo solo gli uomini possono concedersi eccessi senza venir sanzionati”.
Se l’America è pronta per una donna Presidente lo vedremo solo alla fine di questo mandato e se si presenterà qualche candidata. I soliti rumors dicono che Michelle ci stia facendo un pensierino mentre prepara le valigie con i suoi effetti personali. Aspettiamo con pazienza. Quattro anni nella Storia sono nulla.
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