Concorsi StorieSuperbe . Le storie superbe . SUPERBIA
La signora delle tende
In 29 Maggio 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto vincitore di StorieSuperbe – L’Invidia
di Chiara Menardo
La signora vendeva tende nel piccolo paese circondato da campi di mais, sulla terra piatta. Arrivando da fuori, nel caldo umido dell’estate, quasi le case non si vedevano, nascoste alla vista da un recinto di foglie e di pannocchie: siluri avvolti da bende di lino secco.
Non era granché, il paese della signora delle tende. La piazza dal pavimento rosso, la chiesa in mattoni, il municipio dipinto di giallo, le vecchie cascine ripiegate su se stesse come fortezze: muri alti e portoni scuri a proteggere fienili, stalle, mietitrebbie, piccole storie di un piccolo paese sulla terra piatta.
Il negozio della signora delle tende sembrava un’alcova, un harem esotico nel paesino fortezza in mezzo ai campi di mais: lei aveva appeso le tende al soffitto in file e labirinti attraverso i quali la luce brillava e scintillava in mille sfumature diverse. Ci si perdeva nel negozio di tende, tra drappi che scendevano come quinte pesanti di un teatro o come garze leggere dai colori delle ali di libellula.
La signora delle tende appendeva ai drappi fermagli a forma di cuore o di nodi eterni, o bellissimi prismi di vetro sfaccettato che spargevano pezzi di arcobaleno sui tessuti appena mossi dal girotondo pigro delle pale del ventilatore; accendeva bastoncini di incenso profumato, disponeva mazzi di fiori delicati in vasi trasparenti.
La signora delle tende aveva il negozio più bello del paesino monotono di mietitrebbie e mucche nelle stalle dietro i muri spessi delle cascine.
Le signore del paese andavano ad ammirare le tende e i ferma tende di arcobaleno, riempiendosi le narici di profumo di lavanda e di arancio. Sfioravano con la punta delle dita – indurite dai manici dei rastrelli o lisce e bianche di lavori d’ufficio – le stoffe morbide dai colori leggeri simili a nuvole del cielo d’estate, o profondi come il fondo di uno stagno, come la notte.
La signora delle tende sorrideva e mostrava, illustrava, descriveva le stoffe e le istruzioni di lavaggio come se rivelasse i misteri di un arcano universo da appendere dietro ai vetri.
A tutte le finestre del paese piccolo nella pianura c’erano tende bellissime.
La signora delle tende conosceva ogni storia. Le sue tele, staccate dai bastoni e riposte in involucri di carta velina dipinta, entravano in ogni cucina e in ogni stanza da letto, e lei ascoltava. Per questo le aveva create: le splendide stoffe rendevano sottile come garza lo spazio: la signora sapeva come essere ovunque e ascoltava, attenta.
La signora delle tende era magica: guardava le vite degli altri dalla trama e l’ordito.
Stringeva le palpebre ascoltando le parole di stupido amore degli amanti, o quello incondizionato e storpiato di una madre al suo piccolo. Quei balbettii dalle voci forzate di bambola le facevano venire voglia di afferrare le forbici, affilate come rasoi, e affondarle nei cuscini imbottiti di piume che custodiva, gelosa, nella sua casa sopra il negozio di tende.
Si tratteneva: erano preziosi oltre ogni immaginazione, quei cuscini. Sempre due, uguali, infinite coppie di cuscini dalle forme diverse.
La signora del negozio di tende era nata da tanto, tantissimo tempo, in un giorno di sole su un’isola verde tra il blu. Le levatrici l’avevano alzata al cielo mentre sua madre respirava per l’ultima volta tra i lini appesi al bordo del letto. I tocchi leggeri della tela erano venuti prima delle mani ad accarezzane la pelle neonata. Il padre, sconvolto per aver perso la sua sposa amata, non aveva neanche voluto vedere l’assassina – piccola, forte e bella.
Aveva trascorso i suoi anni affidata alla vecchia pazza dell’isola, colei che dicevano fosse una strega, tra le creature degli Dei e i fili di lino e di canapa, tessendo e intrecciando incantesimi.
Lei era bandita dal villaggio dalla rabbia infinita del padre: matricida senza cuore. La giovane senza nome tesseva e recitava incantesimi.
Il padre era morto. Morta anche la vecchia, i fratelli e le sorelle con nomi e carezze di umani.
Lei, no.
Aveva attraversato i tempi e le terre con le sue tele, vagando su prati e onde, tra villaggi e città, spiando attraverso l’incrociarsi dei fili l’amore a lei sconosciuto ed estraneo.
Ascoltava le parole e i gesti degli amanti e voleva disperatamente sentire anche lei.
La prima volta erano stati un giovane pescatore e sua moglie. Aveva regalato loro una splendida tela per coprire il talamo e ascoltato le parole di immensità, le carezze, i respiri nelle notti di luna. Voleva quello e scoppiava di rabbia perché la giovane, insignificante e sciatta, per giunta incapace di creare prodigi, aveva qualcosa che avrebbe dovuto essere suo di diritto. Perché era lei la Signora, lei era di più.
Si era avvicinata pronunciando parole di miele e, con la scusa della tela e dell’amicizia fraterna, aveva iniziato a sussurrare all’orecchio del giovane dolci promesse di eternità. Il pescatore l’aveva respinta con gentilezza, lei aveva ridotto occhi e cuore a fessura: ingrati, immeritevoli esseri.
Un mattino, dopo una notte di parole più antiche del tempo e di candide anatre sacrificate al suo scopo, era entrata prima dell’alba nella casa della giovane coppia: ne era uscita trattenendo al petto due splendidi cuscini del colore del mare profondo. Nessuno aveva più visto la signora o i due sposi: si erano dissolti nel nulla, come un arcobaleno spazzato dal vento.
Aveva vagato da allora, cercando il luogo dove finalmente avrebbe avuto ciò che le spettava. Aveva tentato più e più volte, ma nessuno mai aveva riconosciuto il suo diritto a ricevere carezze umane.
Era maledetta.
Aveva seguito il sentiero dei secoli, camminando in ogni angolo di questa nostra terra tonda, fino ad arrivare al paesino piatto nella campagna di mais. Aspettava: di provare l’amore o di aggiungere alla sua collezione. Ascoltava le parole e i respiri in attesa di compiere la scelta, appoggiata ai mille cuscini, memoria dei piccoli esseri che avevano osato, inconsapevoli, impossessarsi di ciò che avrebbe dovuto essere suo: una carezza.
VINCITRICE
Chiara Menardo
TITOLO
La signora delle tende
La motivazione della Giuria è la seguente:
Ci sembra di guardare davvero attraverso la trama e l’ordito di un tessuto. Di spiare, di ascoltare sussurri, di essere ospiti a volte indesiderati dello svolgimento di una storia. Ospiti invidiosi, perché siamo colti da una sorta di empatia verso questa protagonista non umana. E lei è a parte, come noi. Mentre gli altri hanno «nomi e carezze di umani», mentre il mondo è fatto di «parole di stupido amore». In un turbine di sinestesie, l’invidia ci appare come il dolore nel non-possedere, come un incantesimo nero destinato a colpire per l’eternità il suo stesso creatore.
Biografia dell’Autore in un Tweet:
Gioco con le parole come fossero un cubo di Rubik. O forse sono alla ricerca della formula magica.
Navigazione
Consigli
Articoli recenti
- Sette automobili tratte dai film italiani 28 Aprile 2024
- Lo sbarco di Anzio dal vivo 19 Aprile 2024
- Armando Testa 12 Aprile 2024
- Fantasia! 9 Aprile 2024
- Storie d’amore 2 Aprile 2024
Lascia un commento