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Beverly Hills 90210 – il primo giovedì d’adolescenza
In 17 Ottobre 2016 da Debora BorgognoniIl 4 ottobre 1990 è un giovedì. Da quella data, per un decennio, il giovedì sarà il giorno dell’adolescenza, sarà un appuntamento. Anzi, una promessa.
Qui, in Italia, non ne sappiamo nulla fino al 19 novembre 1992, per l’appunto giovedì. Me la ricordo bene, quella sera. Avevo compiuto 12 anni da circa un mese, ma me ne accreditavo 13. Aspettavo sempre una settimana dopo il compleanno per il millantato credito, e ne avevo ben il diritto, perché si diceva ne dimostrassi almeno 14.
Quella sera la aspettavamo tutti. Eravamo ragazzini maturi, scrivevamo poesie e parlavamo di politica, sentivamo l’eco dei grandi ideali firmati anni ’70 ma non ne capivamo il significato, cosa che vale per tutti i miti. Si stava aprendo una strana contraddizione, in quegli anni ’90. Si stava, cioè, cercando di abbandonare lo spauracchio della lotta e il mito – appunto – del recente passato, per accogliere quel famigerato edonismo che sarebbe stato il nostro personale ideale, la nostra conquista. Mi viene in mente Pier Paolo Pasolini che, un paio di decenni prima, si dichiara deluso dal proletariato nel momento in cui si accorge di quella costante tensione verso la borghesia. Chi stavamo deludendo, invece, noi?
Abbiamo accolto il primo vero teen drama. Il che sembra banale, detto così, dopo aver chiamato in causa nientemeno che Pasolini. Quella sera mia sorella ed io eravamo davanti alla TV in attesa del telefilm americano rivoluzionario, di quella promessa fatta da otto ragazzi come noi. Si viene a costruire pian piano una metafora, che è figlia più concreta di un sentore ideologico cresciuto al posto del Muro di Berlino, cresciuto tra quei cocci. Che si insinua nella Seconda Repubblica, che non guarda più al passato o al futuro – non ha quei metri di misura – ma vive il presente, per la prima volta, forse prendendoci talmente la mano da dissolverlo nel tempo reale.
Appendo la cornetta del telefono dopo aver augurato alla mia migliore amica, la Cece, buona visione. «Ma tu sei emozionata? – Sì, che sono emozionata. E tu come lo guardi? – Io con mia sorella, sul letto, alla prima pubblicità ti chiamo e mi dici, eh! – Sì, se mia madre non rompe…». Entro nel mio habitat, nella mia cameretta, piena di poster di Jim Morrison senza sapere che vivo in un tempo che ben poco ha a che fare con il richiamo di Woodstock. Italia 1 presenta la prima serata alle 20.30, e fuori c’è già buio pesto. Sto per conoscere i due gemelli Walsh, Brendon e Brenda, approdati a Beverly Hills dal freddo Minnesota e costretti ad abbandonare là nostalgie e paure per appartenere a un gruppo, che come sempre si forma al Liceo. A fare i conti con i piccoli vizi dei sedicenni californiani, con i loro modelli, con gli status symbol, che Brendon e Brenda temono di non potersi permettere. Saranno accettati senza troppi traumi dalla snob Kelly Taylor, dalla bella Donna Martin, dalla pragmatica Andrea Zuckerman, dall’immaturo Steve Sanders, dall’inesperto David Silver, dal misterioso Dylan McKay. E non voglio qui parlarvi di un’etica che si va costruendo a ogni puntata, di questo spartiacque nella storia della televisione che va dai lustrini e gli intrighi di Dynasty e Dallas alla superficialità patinata dove l’adulto non ha più ruolo, tipica delle serie TV a venire.
Voglio rimanere a quel giovedì, così carico di significati che si possono analizzare col solo senno di poi. Mia sorella ed io ci teniamo per mano, la TV dal tubo catodico ci rimanda un’immagine con effetto glitch e una musica composta da John E. Davis, con un’intro in due tempi, un pop vagamente elettronico dove la tastiera è chiamata a fare i miracoli della chitarra. Bene, il ritmo è rimasto agli anni ’80, non pretende di shockarci, ci dà quell’illusione di continuità che tutti noi cerchiamo.
È la prima puntata di Beverly Hills 90210, nata da un’idea di Aaron Spelling e Darren Star.
Beverly Hills, 90210 - Intro [HQ]
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