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Il mitico Simon Templar, Il Santo delle serie TV
In 1 Novembre 2021 da Fabio MuzzioEsistono delle serie televisive da vedere almeno una volta, perché storiche e diventate di culto: per qualcuno vale l’effetto memoria, per altri è la possibilità di completare il bagaglio di conoscenze sulla materia. Tra queste, all’epoca si chiamavano telefilm, The Saint – Il Santo, oppure conosciuta come Simon Templar. Nato dalla penna di un di Leslie Charles Bowyer-Yin, che firma i suoi romanzi come Leslie Charteris, Templar debutta in libreria con il romanzo del 1928 Meet The Tiger.
Complessivamente le storie pubblicate, che vedono protagonista questo personaggio, saranno ben cinquanta. Molto presto queste storie usciranno dalle pagine e saranno protagoniste al cinema già negli anni Trenta, con pellicole di secondo piano, in radio negli anni Quaranta, con i racconti letti al microfono, una nuova serie sul finire degli anni Settanta e due film, tra cui quello interpretato da Val Kilmer nel 1987. Su tutte, però le più memorabili restano quelle legate all’attore che nelle sei stagioni, 118 episodi di cui 71 in bianco e nero e 47 a colori (le ultime due stagioni con tanto di sigla rivista e più moderna) interpretate da Roger Moore. Attore tra i più noti della storia del piccolo e grande schermo, Moore nei panni di Templar rompe la quarta parete e si rivolge agli spettatori introducendo il luogo e la situazione dove si svolgerà l’avventura, con l’immacabile sguardo sopra la testa quando il personaggio di turno lo riconosce e gli fa comparire l’aureola del suo soprannome. Moore aveva avuto la prima ribalta con il cavaliere medioevale Sir Wilfred of Ivanhoe sul finire degli anni Cinquanta ma è proprio alla guida della Volvo P1800 targata ST1 che conosce il successo planetario a 35 anni.
Antieroe gentiluomo, un Robin Hood moderno, dal passato misterioso anche nella Resistenza durante la Seconda guerra mondiale e in buoni rapporti con i Servizi segreti (qualche variazione della sceneggiatura è funzionale alle vicende) è un playboy che non rinuncia mai alla perfetta eleganza, raro vederlo senza la cravatta, spesso impegnato a versare una coppa di champagne per la conquista di turno e nelle diverse stagioni attraversa proprio un decennio dai forti cambiamenti sociali e culturali rimanendo sempre fermo nel codice morale. La sua attività di ladro, l’omino stilizzato con l’aureola ne è la firma risaputa, non è così preponderante nelle diverse avventure, anzi, sono più le ricompense delle assicurazioni per i bottini recuperati.
Dal primo episodio andato in onda per la prima volta il 4 ottobre 1962, Un marito di talento, da cui abbiamo estratto anche la ricetta di uno spezzatino potenzialmente letale, e l’ultimo, La migliore del mondo, visto sul piccolo schermo il 9 marzo 1969, sembrano esserci due mondi diversi: cambiano le donne, meno remissive e con i vestiti più corti, seppur se ne guardino bene dall’oscurare il bel Simon al quale finiscono quasi sempre tra le braccia; cambia il girato, dai tempi meno teatrali e diviene di maggiore azione; si intravede l’arrivo della tecnologia e il progresso: ingegneria genetica, ibernazione, calcolatori elettronici e qualche personaggio folle che mette in pericolo se non il mondo almeno la natia Inghilterra, che sul finire della serie diventa maggiormente scenario delle avventure rispetto alle prime stagioni, dove Templar era in giro per il mondo, tra casinò, aristocratici, mafiosi, capi di Stato, vecchi amici e Polizia spesso poco amichevole. Questa deriva tecnologica e di azione diventa una sorta di anticipazione del futuro James Bond, che Moore interpreterà sette volte tra il 1972 e il 1985. In realtà c’è anche un punto di contatto pure con un altro grande successo televisivo diventato di culto: nell’episodio 115, L’ex re dei diamanti, prima di rivaleggia, tra cazzotti e provocazioni e poi collabora con un petroliere texano, giocando anche sul confronto di stile tra l’americano e l’inglese: il rozzo Rod Huston assomiglia in parte a quel Danny Wilde, uomo d’affari newyorkese che, intepretato da Tony Curtis, formerà la coppia d’oro di Attenti a quei due, serie tra le più note e durata troppo poco si dice per le troppe inteperanze dello stesso Curtis. Anche qui Moore, il raffinato Lord Brett Sinclair, guida una macchina dalla targa personalizzata, una Aston Martin DBS con sigla BS1. Le analogie e i riferimenti, quindi, non mancano.
In questo viaggio il rivale che cerca di incastrarlo (non manca anche l’aspetto di aiuto reciproco) è l’Ispettore di Scotland Yard Claud (o Claude) Eustace Teal, che lo conosce bene e non manca mai, appena può, di metterlo sotto accusa e soprattutto se lo ritrova spesso tra i piedi durante le indagini. Il fiuto e l’abilità di risolvere dilemmi e dipanare matasse di omicidi apparentemente perfetti non fanno altro che alimentare la fama del Santo e aumentare anche il suo rischio di essere nel mirino di chi vorrebbe eliminarlo. Gli omicidi, che contraddistinguono soprattutto le prime quattro stagioni, cedono un po’ il passo e le avventure, che talvolta prevedono proiettili letali, ma Templar non sarà mai nemmeno ferito; la soluzione al caso arriva dunque con l’astuzia di mirabolanti fughe da prigioni create al momento e a suon di cazzotti con il ciuffo che si sposta e viene rimesso a posto, insieme al nodo della cravatta, quando l’avversario o gli avversari finiscono K.O.
Le protagoniste femminili spaziano tra la rampolla viziata, la figlia dell’amico in pericolo, la vecchia fiamma abile nel truffare, l’indifesa vittima suo malgrado e l’intraprendente senza troppi scrupoli in stile femme fatale. Le sceneggiature necessariamente edulcorate non rinunciano a raccontare donne dal passato non proprio limpido o, ancora, le accompagnatrici (in alternativa le modelle o le ballerine) dal vissuto libertino. In comune c’è il fatto che se complici vengono sempre “salvate” dall’arresto, perché spesso redente e perché Simon è sensibile e di buon cuore, malgrado evidenzi un atteggiamento maschilista: l’uomo è pur sempre il cavaliere che salva la principessa e se questa si comporta in modo sconveniente può essere legittimamente sculacciata. A interpretarle vengono chiamate attrici emergenti di quegli anni, quasi tutte inglesi, tra cui, per esempio, Julie Christie, Judith nell’episodio omonimo nel corso del quale il “nostro” l’aiuta a ordinare un Rum Manhattan.
Le tante repliche sui diversi canali televisi italiani hanno visto anche cambiare le sigle e dall’orginale composta dallo stesso Leslie Charteris si passa, nel 1982, a quella cantata da Giulia dal Buono in arte Indiana.
Un’altra piccola curiosità è data dalle regie: alcuni episodi sono firmati dallo stesso Moore e ventuno lo sono stati da Leslie Norman, che ne dirigerà ben sette dei ventiquattro complessivi di Attenti a quei due.
Se vi capitasse l’opportunità di incrociare Il Santo in una library di qualche piattaforma non perdetela: guardatela come un classico, con i pregi e i difetti, non con l’occhio moderno ma con quello della contestualizzazione storica, non indugiando troppo sui fondali proiettati, le auto che sembrano in moto ma vengono “mosse” nello studio di ripresa o le strade che diventano città differenti sostituendo la lingua delle insegne dei negozi. E nell’episodio L’uomo che giocò con la vita potreste pure notare gli aiutanti del “cattivo” indossare delle divise assai simili a quelle di Spock nella serie classica di Star Trek. Per me, che l’ho vista ben dopo dal debutto, ha comunque l’effetto memoria e l’ho riguardata con piacere e con un pizzico di nostalgia. Alcuni episodi sono superati, i due estesi divenuti lungometraggi abbastanza noiosi, mentre altri funzionano ancora oggi.
Chiudo con Riccardo Cucciolla, Luigi Vannucchi due grandi del nostro teatro e della nostra TV, Rino Bolognesi e Romano Malaspina: sono stati i quattro doppiatori di Moore che si sono alternati nelle diverse stagioni. Bolognesi è stato anche la voce di Batman nella serie TV e Malaspina quella di Actarus in Atlas Ufo Robot. Se vado avanti così, oltre che l’effetto memoria, scatta anche la lacrimuccia dell’infanzia.
Guardate Il Santo, non ve ne pentirete.
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