INVIDIA . Lector In Invidia
Sbatti il mostro in prima pagina
In 30 Marzo 2017 da Attilia Patri DPUn modo elegante per dire che, ognuno di noi, si relaziona con un quadro, una poesia, una fotografia, un romanzo, un brano musicale, una notizia, in base alle proprie esperienze, bagaglio culturale, sensibilità, stato d’animo momentaneo, al punto che potremmo far nostro il principio filosofico di David Hume: “La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”.
Dalla bellezza di Hume a “Sbatti il mostro in prima pagina” di Marco Bellocchio il passo è breve, così come è breve il passaggio tra la pubblicazione in Rete di una foto e l’interpretazione e la manipolazione che di questa se ne fa. Il passo è breve e si misura in colpi di click e di condivisioni Social.
I fatti: mercoledì 22 marzo 2017 il reporter Jamie Lorriman immortala con diversi scatti fotografici un gruppo di persone subito dopo l’attentato sul Westminster Bridge. Sceglie tra le diverse foto di pubblicarne una, che verrà poi riportata anche dal Daily Mail, su Twitter. L’immagine rappresenta un piccolissimo tratto di ponte con un ferito a terra, due donne inginocchiate accanto, tre donne e tre uomini in piedi.
Le conseguenze: la foto non fa quasi in tempo ad arrivare in Rete che un utente Twitter, con 44mila followers e dichiarato disprezzatore dell’Islam, dal Texas commenta “Una donna musulmana non fa caso all’attentato terroristico; passa casualmente di fianco a un uomo che sta morendo e guarda lo schermo del suo telefono”.
Il commento è scritto lì, nero su bianco, e mette in chiaro l’idea derivata, l’unica espressa nonostante il contesto dello scenario fosse ampio e avrebbe potuto suscitare tanti sentimenti – dolore, orrore, interrogativi, sdegno, pietà, rabbia – come occasione di riflessione. Nel complesso, appunto! Nel dettaglio, invece, si è colta la presenza di uno hijad, di un telefono in mano, di piedi nell’atto di camminare; si sono analizzati gli elementi e da buoni matematici si è dato luogo all’equazione: Muslim Woman uguale indifferenza.
Il tweet è il fiammifero che incendia gli animi innescando il circo mediatico e la foto, in brevissimo tempo, fa il giro del mondo passando attraverso tutti i Social e raggiungendo ogni località, anche la più remota, purché geograficamente connessa. I commenti, come per gemmazione, si centuplicano quasi all’infinito tra chi appoggia la tesi dell’indifferenza e lo sdegno di chi ne critica l’interpretazione in un tam tam continuo e ripreso anche dalla stampa e dai Social nostrani. Lo scopo “sbatti il mostro in prima pagina” si è realizzato.
Le risultanze: dalla lettura dei commenti ci si accorge che è stato utilizzato quasi tutto il Dizionario dei Sinonimi per quanto riguarda il termine indifferenza – insensibile, disinteressata, impassibile, noncurante, incurante, non fa caso, come niente fosse, distaccata, menefreghista, apatica, imperturbabile, e così via.
Si deduce che essere musulmane e trovarsi casualmente sul Westminster Bridge il 22 marzo è una “colpa”; che ci sarà sempre chi non guarderà oltre l’abbigliamento, ma potremmo aggiungere in generale anche razza, etnia, orientamento sessuale, religione, per trarre conclusioni sulla base di odio e xenofobia e approfitterà dell’occasione per scatenare sui Social bufere e cori razzisti; che poco varrà se, successivamente, la “colpevole” parlando a TellMama – la società che sostiene le vittime di odio anti musulmani – dichiarerà di “aver vissuto non solo lo shock per essere stata involontariamente testimone di un attentato terroristico paralizzante ma di essere scioccata e costernata per il modo con cui una mia foto è stata fatta circolare sui Social Media”.
Si denota che ci si abbandona a dissertazioni su mimica facciale e linguaggio del corpo neanche si fossero letti i trattati di Paul Ekman e di Ray Birdwhisteel. Si è incerti in grammatica ma si è esperti in linguaggio non verbale, in Cinesica: la Muslim Woman camminava indifferente guardando lo smartphone. E allora? Magari si allontanava perché richiesto dalle forze dell’ordine per agevolare i soccorsi e intanto scambiava notizie con i parenti: se fosse stata nostra figlia o nostra sorella la prima cosa che avremmo voluto sarebbe stata quella di sapere che stesse bene e che non le fosse successo nulla.
Alla meschina interpretazione della foto non ci sta neanche il suo autore che a “20 Minuten” ha ribadito: “Io ero lì, quella donna era sconvolta esattamente come tutti gli altri; ha avuto difficoltà a riprendersi. Il suo stato d’animo è evidente in altre foto che confutano quello che alcune persone vogliono vedere”. Beato ragazzo, visto che hai 28 anni, lo sai solo adesso che la gente vede solo quello che vuole vedere? Anzi, a dirla tutta, sembra strano che nessuno abbia fatto caso anche alla ragazza che si soffia il naso e non ci si sia chiesti perché stia usando il fazzoletto e scaturissero tutte le alternative possibili: piange perché il ferito è un parente o un amico, per lo spavento, per il mal di denti o di pancia di quei giorni, perché è raffreddata o forse è solo allergia, e non si sia andati a parare su quello che le Multinazionali dicono o non dicono; tanto per ricordare certe modalità Social.
A questo punto per essere un po’ maligni e perché, in fondo, i peccati un po’ ci piacciono, per essere un po’ serpenti, verrebbe da chiedere a Jamie Lorriman perché, se aveva tante foto simili, non ne ha postato una che non desse adito a supposizioni, che sgombrasse già in partenza ogni equivoco? Quanta innocenza e quanto calcolo nella scelta? Di immagini del 22 marzo londinese ne sono circolate un’infinità tra la sua e quelle di altri reporter: la sua ha fatto il giro del mondo. Magari non il giro giusto, pulito, non quello delle foto emblematiche che la Storia ci ha consegnato, però il giro l’ha fatto: è diventata altamente visibile, se ne è parlato, nel bene e nel male, secondo la regola del “purché se ne parli”.
Nel bene o nel male è difficile non immaginare che, ai suoi colleghi, un po’ di invidia non li abbia sfiorati.
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