IRA . Racconti da Kepler
Ford e la catena di montaggio
In 7 Ottobre 2016 da Il ViaggiatoreBombetta, panciotto e orologio da taschino: sono proprio elegante. Leggo e rileggo l’indirizzo: 91 di Manchester Avenue, Highland Park. Questa è una città della Contea di Wayne, che appartiene all’area metropolitana di Detroit, nel Michigan. L’invito mi arriva direttamente dal Presidente Henry Ford in persona: oggi, 7 ottobre 1913, si inaugura la prima catena di montaggio nella sua nuova fabbrica. L’Ottocento ha lasciato in eredità le invenzioni che il Novecento ha perfezionato per un mondo che sta per compiere i passi decisivi nel progresso tecnologico. Gli U.S.A. stanno crescendo come potenza, l’Europa ribolle ed è a un passo dal primo conflitto.
Ho scoperto che Ford ha sempre avuto il pallino per i motori, tanto da averne creato uno a vapore a soli 15 anni, e che il 1893 è un anno importantissimo nella sua vita: diventa ingegnere capo alla Edison Illuminating Company, nasce Edsel Bryant, il figlio avuto con la moglie Clara e assembla un motore a benzina nella sua casa al 58 di Bagley Avenue sempre a Detroit. Nel 1899 fallisce la prima impresa ma continua a costruire macchine da corsa. Il 16 giugno 1903 a Mack Avenue inaugura la Ford Motor di cui diviene Vice Presidente e Direttore generale, lasciando John Gray la Presidenza, carica che avrà nel 1906. La società nasce senza che ci mettesse capitali e la vita è dura, perché la fabbrica sopravvive solo grazie alla costruzione di tre modelli A.
L’innovazione è però nel suo DNA e ha intuito molto presto che l’automobile diventerà uno tra i prodotti più desiderati dai consumatori. Oggi, prima di alcuni tentativi anche da parte di altri imprenditori, inaugura la catena di montaggio, che segnerà la vita degli operai in modo alienante per la ripetitività dei gesti, trascinando critiche anche feroci persino dal cinema, su tutti quel Tempi moderni di Charlie Chaplin che tanto scalpore saprà suscitare.
Tempi moderni 1936-La catena di montaggio
All’inaugurazione ci sono diversi giornalisti, tutti attenti, come me, a conoscere le potenzialità e il futuro. Ma non solo, ci sono i soci e gli operai, una decina, che dimostreranno i cambiamenti della fabbrica fordista. L’Ingegnere, a cui brillano gli occhi, non sa ancora quanto segnerà il mondo. L’operatività verrà ripresa e formalizzata tra meno di dieci anni da un altro ingegnere, Federick Taylor, il teorizzatore del taylorismo, quel tipo di organizzazione del lavoro per il quale a ogni addetto viene assegnata un’operazione che ripete in modo continuativo rispettando dei tempi assegnati. Il taylorismo e la catena di montaggio avranno vita più o meno lunga, basti ricordare che La classe operaia va in Paradiso Elio Petri nel 1971 racconta una fabbrica italiana e la fatica del lavoro usurante e ripetitivo. In realtà il modello entrerà in crisi già negli anni Cinquanta quando l’ingegnere giapponese Taiichi Ohno proponene l’organizzazione Just in time che abbatte il magazzino e si trasforma nel concetto di qualità totale tanto da trovare applicazione nell’ex fabbrica di telai tessili riconvertita alla costruzione di automobili: la Toyota. Qui il lavoratore è chiamato a partecipare al processo e non ne è più escluso e la cooperazione si unisce allo svolgere più attività e non più una sola.
Ford, che ci intrattiene in maniera brillante, ci illustra passo dopo passo le diverse operatività del nastro trasportatore che vedrà impegnati nei diversi turni i suoi operai. Dice che questa inaugurazione prevede qualche mese di rodaggio, infatti ho letto che andrà a regime solo a dicembre ma già adesso abbatte i tempi di realizzazione. Da un suo preciso calcolo, come non aspettarselo da un Ingegnere, in 3 ore si potrà produrre quanto prima in 12 e quando tutto sarà a piena produzione una T si costruirà in 1 ora 1/2 uomo. Attualmente gli operai guadagnano poco più di due dollari al giorno ma Ford promette di aumentare il salario se il modello T, quello che segnerà così tanto il successo della casa automoblistica da fargli dire nel 1922: “Any customer can have a car painted any colour that he wants so long as it is black“.
Il modello T è a cinque posti ed è stato progettato stato da Ford, Charles Harolde Wills e da due emigrati di origine ungherese, József Galamb e Jenő Farkas: l’America è una realtà multiculturale fin dai primi pionieri, figuriamoci nel Ventesimo secolo. Non posso che confermare quanto Ford sia stato di parola, perché tra meno di dieci anni i suoi operai guadagneranno 5 dollari al giorno, in una nazione che cresce con la Grande depressione ancora lontana. La sua T da 900 dollari passerà a 290, a dimostrazione dell’efficacia del taylorismo, se tralasciamo il prezzo pagato dalla manodopera.
Tutto sembra essere pronto, gli operai, li vedo emozionati, sono davanti al nastro in attesa che i pezzi comincino ad arrivare: Ford dà il via libera, le macchine si mettono in moto. Il rumore è forte e mi torna alla mente Chaplin che finisce tra gli ingranaggi senza fermarsi mai, perché la produzione deve andare avanti.
Alla prossima!
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