
Letti Nuovi . LUSSURIA
Maria di Ísili
In 29 Aprile 2017 da Debora Borgognoni
… CANTO DELLE SIRENE O ETEROTOPIA?
Nel 2016 il Premio letterario Italo Calvino, destinato a scrittori esordienti, è vinto ex aequo da Cristian Mannu con Maria di Ísili, romanzo corale e fortemente intimista. Ogni personaggio è narratore di una storia che ha una sola e vera protagonista: la Sardegna. Ma non si deve pensare a un romanzo celebrativo. La Sardegna è solo una madre, a volte silente, a volte ingiusta, a volte strafottente, di tutti questi figli che vivono mezzo secolo senza ben sapere come interpretare il mondo circostante e il loro tempo.
Figli che l’avrebbero voluta diversa, e ne piangono con rabbia la morte:
La Sardegna è già morta, fidati, è morta e non l’ha ancora capito. C’ha una metastasi più grande della mia, la Sardegna. Le rimane solo il nome, ma è morta già da tempo. È morta a Porto Torres, a Ottana, a Sarroch. È morta a Porto Cervo e a Quirra, la Sardegna.
Oppure la rinnegano:
La Sardegna per me era l’odore di urina e salsedine della Tirrenia, era il mare che mi faceva venire da vomitare quando la nave ondeggiava, era l’odore di benzina delle macchine. La Sardegna era agosto ed era caldo asfissiante, era quel bastardo di mio padre tutto intero in costume da bagno e ciabatte della sua casa al mare […] l’avrei cancellata dalla cartina geografica la Sardegna se fosse stato per me, con quella sua forma di sandalo in mezzo al mare e le spiagge lungo i lati e i monti al centro.
Del resto, i figli parlano per lei, e una in particolare, cui è dedicato il libro intero e che funge da collante per tutti gli altri: Maria Piga, nata a Ísili, comune della provincia del Sud Sardegna, secondogenita di Michele Piga e Rosaria Granata, sorella di Evelina Piga. Per Maria la Sardegna è uno schiaffo, una bellezza violenta:
Dalle mie parti c’è sempre stato vento. Vento possente e intrigante. Vento che fruga e che rende impazienti. Vento che sembra salire da un lontanissimo mare a levigare le pietre e spezzare famiglie e rami di alberi forti. Ma se la tua faccia non ha mai preso schiaffi sull’altopiano di Nurri, non puoi capirmi.
Per la verità è lo stile stesso di Mannu a essere bello e violento. La narrazione dalla cadenza poetica che fa ondeggiare il lettore in un respiro ampio, scorrevole, ingentilisce la materia spesso cruda, costellata un po’ ovunque di parole dialettali e di un uso della punteggiatura che rimanda all’inflessione della lingua parlata.
Per ognuno dei dieci personaggi che il lettore conosce, tutti “io narrante”, tutti con una versione dei fatti e della vita e del mondo fortemente personale – e con questo intendo che l’autore è entrato in ognuno e ne ha delineato un profilo psicologico dettagliato – di Mannu rimane solo lo stile. Si ha la sensazione che i personaggi abbiano indagato lui più di quanto l’abbia fatto l’autore con essi. A cominciare da quel “tu”, cui si rivolgono ogni volta in una sorta di intervista giornalistica.
Si vedeva da come filava che non era una bambina come le altre. Una aicci bravixedda deu non dd’apu mai bia, e non solo lì in paese, a Ísili, seu narendi. Se non capisci quello che dico, fermami però, che ogni tanto mi esce qualche frase in dialetto, ma non ci posso fare niente, è più forte di me.
È la levatrice Salvatorica Carboni, chiamata Zia Borìca, a far nascere Maria di Ísili, e con lei si apre il romanzo. O forse dovrei dire: il viaggio, che porta il lettore dentro una terra tutta femminile. La caratterizzazione forte è affidata alle donne; donne dalle mani che tessevano come se stessero suonando un pianoforte, o di «unghie annerite negli orti», di occhi che «un giorno erano lucidi come le foglie dei lecci e un altro sembravano castagne che bruciano al fuoco e un altro ancora erano gialli come le pietre di Pranu Ollas», di fede e di passioni dolorose, donne che raccontano «storie di figlie morte dentro lo stagno per cercare collane di perle, […] e di mariti ubriachi e di colpi di cinghie profondi e caldi ancora dietro la schiena», le donne che sono amiche ma non sanno raccontarsi la sofferenza, sorelle che scrivono lettere e non ricevono risposta, zie che vogliono chiudere il cerchio di rabbie e intransigenze passate, mogli che sopportano, figlie che fuggono, madri che non dicono.
Le vicende della famiglia Piga sono quindi raccontate dai dieci personaggi del libro. Ognuno di questi rappresenta anche un tema forte. E può essere la depressione in un mondo guardato alla finestra,
Ho sposato Michele in una piccola chiesa, lontani da tutto e da tutti. Lontana per sempre dai miei genitori e dalla mia dolce Sicilia, e da Pietro che era ancora più dolce e più bello. Michele forse sapeva che io non l’amavo. Michele aveva puzza di cane bagnato e occhi che non riuscivo a capire.
o l’omosessualità,
Quando era piccola la dovevo bruciare, quando era piccola e scriveva con quella mano sinistra la dovevo bruciare, come mio fratello scemo che non lo sopportavo più perché diceva ai suoi amici che ero frosciu e mi prendevano in giro e mi chiamavano Kalledda femminedda all’uscita da scuola e mi lasciava senza mutande in cortile dietro i cespugli e mi diceva che dovevo pisciare seduto […]. Bruciare la dovevo, come la casetta di Bonu Trau a Macomer con mio fratello scemo e pezzemmerda dentro e i miei genitori che tanto non mi volevano più parlare […]
o la passionalità e l’amore selvaggio.
Ho smosso zolle scure solo per mescolare il mio seme alle vendette e mischiato la mia pelle alla polvere ma solo sotto ulivi e sopra qualche femmina. Cinghiale randagio dal pelo ispido e nero, mi dicevano, ma mosso come tempesta di notte. Animale solitario e irrequieto, dico.
I personaggi vengono affrontati con un linguaggio di volta in volta differente, specchio dei valori culturali di ognuno di essi. Questo giustifica il turpiloquio, la scorrettezza grammaticale o sintattica, il linguaggio dialogico, fino a quello meramente gergale.
Se il ritmo poetico contraddistingue uno stile non scontato, la scelta di costruire un intero romanzo sulla “polifonia” potrebbe rappresentare, di contro, un’assenza di stile. Stile in senso letterale, ossia come quella summa dei tratti formali che rimandano a un canone letterario, un’aderenza e una perspicuità, insomma.
Ma la penna di Mannu conquista, non si può non soccombere a quel fascino. E allora il romanzo cosa diventa? Un canto delle sirene o una seducente eterotopia?
Note: Maria di Ísili è un romanzo di Cristian Mannu, edito da Giunti nel 2016. ISBN 9788809819511.
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