
INVIDIA . Lector In Invidia
Ho cinque anni e sono, mio malgrado, un “caso”
In 31 Agosto 2017 da Attilia Patri DPBimba cristiana affidata a musulmani.
Succede a Londra e viene raccontato dal The Times in un susseguirsi di aggiornamenti e cambi di rotta in bilico tra la bufala, il caso montato ad arte e la violazione dei diritti umani.
Succede a Londra, impaginato in esclusiva dal maggior quotidiano britannico dopo che un supervisore dei servizi sociali – che ha chiesto di rimanere anonimo – ha portato la storia all’onore della cronaca nazionale, prima, e internazionale, poi.
Succede a Londra che una bambina di cinque anni, nata in Inghilterra, con passaporto britannico, idioma inglese, bianca, cristiana, battezzata, venga allontanata dalla famiglia naturale per essere data in affido temporaneo ad altra famiglia. Una bambina che, avendo già sofferto il trauma del distacco dal contesto di crescita, avrebbe avuto bisogno di un ambiente in cui sentirsi amata, protetta, al sicuro e, invece, sembrerebbe essere rimasta intrappolata in un mondo in cui tutto le appare estraneo e ostile, un mondo che non conosce e la spaventa.
Secondo The Times la bimba sarebbe stata affidata, in sei mesi, a due famiglie musulmane osservanti e praticanti che avrebbero rinnegato tutti i suoi valori, le sue abitudini, insistendo con un approccio educativo tendente all’annullamento della personalità iniziale e all’orientamento verso i dettami del Corano: via il crocefisso che portava al collo con una catenina come segno di blasfemia, nella spazzatura il piatto di pasta alla carbonara – preparato dalla madre naturale in occasione di un ritorno in famiglia – perché contenente alimenti impuri. Atti che alla bambina devono essere sembrati devastanti, come tagli ombelicali tra il sé di oggi e le origini primordiali; tra un adesso e un prima al quale, comunque, vorrebbe tornare.
Costretta a imparare l’arabo, perché le donne alle quali è stata affidata non conoscono l’inglese, sotto lo sguardo intravisto attraverso il niqab o celato dal burqa mentre vengono rinnegate le festività cristiane per eccellenza, Natale e Pasqua, liquidate come “feste stupide”, e tacciando le donne occidentali come “alcolizzate e idiote”. C’era il suo mondo certo e adesso un mondo alieno e nel rinnegare forzatamente abitudini, modi di fare e di agire è come se cancellasse quei sassolini che tracciano la strada di casa, come nella fiaba di Pollicino. Sassolini persi per sempre e l’unica difesa sono il pianto, la disperazione, i racconti, quasi una denuncia, ai parenti quando ci sono gli incontri programmati, la richiesta di non tornare più nella casa della famiglia affidataria.
Quello che doveva essere un affido di protezione, in attesa che nella famiglia naturale tornasse la normalità, di fatto è stato, per la piccola, un vero e proprio lavaggio del cervello, un azzeramento di tutti gli input ricevuti prima, un reset, un ritorno alla tabula rasa da riempire di nuovi precetti, la gomma rossa e blu che, volendo cancellare, lacera.
Le scelte decisionali dei servizi sociali del distretto di Tower Hamlets, per come è stata raccontata la vicenda, ovviamente non appaiono le più felici e consone alla situazione iniziale diventando un caso senza precedenti e ingenerando nell’opinione pubblica un pensiero tendente alla definizione di scandalo, anche se dal comune londinese arriva solo un “No comment” e non hanno voluto fornire spiegazioni sul motivo della scelta fatta: “Non possiamo parlare dei singoli casi – dice un portavoce – I nostri servizi sociali forniscono una casa e una famiglia amorevole a centinaia di bambini ogni anno e, in ogni caso, teniamo in alta considerazione la provenienza culturale e l’identità dei minori”. In buona sostanza quello che, nella nostra norma riguardo l’Istituto dell’affido, rappresenta “il superiore interesse del minore”.
Volendo contestualizzare la storia nella realtà della capitale britannica va detto che, secondo i dati del 2011 (probabilmente già superati per eccesso), soltanto il 45% della popolazione è costituito da bianchi britannici e a Tower Hamlets, un quartiere “difficile” e povero della periferia orientale, i bianchi britannici scendono al 31%: lì a dominare è la comunità asiatica e musulmana e le signore in burqa per strada sono del tutto comuni. Paradossalmente, nel contesto di osservazione, è la bambina cristiana ad appartenere a una “minoranza etnica” e le famiglie affidatarie bianche sono pochissime. Da qui la necessità intrinseca della scelta di una famiglia di etnia diversa.
Anche se una direttiva del 1989 stabilisce che, prima di prendere una decisione riguardo un affido, le autorità locali “devono dare dovuta considerazione alla fede religiosa, alle origini razziali e al background culturale e linguistico del minore” nella pratica questo non sempre avviene, ma, di solito, in maniera opposta a quella raccontata dal The Times: in Inghilterra ci sono poche famiglie di tutori appartenenti a minoranze etniche mentre sono numerosi i bambini non bianchi dati in affido che quindi finiscono spesso presso famiglie bianche senza che nessuno trovi qualcosa da ridire. Il problema, dunque, della piccola londinese non è l’affido ad una famiglia musulmana – che è verosimilmente rispettabilissima perché i tutori vengono vagliati – ma l’imposizione di costumi e valori lontani dall’ambiente di origine.
Una storia che sembra nata e alimentata dalla povertà sia di mezzi che relazionali e sociali. Questo, naturalmente, se il racconto raccolto dal The Times è “genuino” e non ingigantito per fomentare ulteriormente intolleranza e xenofobia.
Per il momento i servizi sociali hanno fatto un passo indietro e il magistrato Khartoum Sapnara, musulmano praticante, ha consentito il ricongiungimento della bambina con la famiglia naturale affidandola alla nonna paterna al fine di promuovere il benessere della piccola e soddisfare le sue esigenze in ambito di etnia, religione e cultura, ma si potrebbe scommettere che il caso non si chiuderà tanto presto e non senza ulteriori polemiche.
Mettendomi dalla parte della bambina e sperando che non sia stata solo un oggetto di strumentalizzazione, vorrei ricordare le parole di Lya Luft: “L’infanzia è il suolo sul quale andremo a camminare per tutta la vita”.
Usciamo da quel suolo, non calpestiamolo oltre.
A inizio post vi abbiamo linkato l’articolo originale. Troverete un’interessante confutazione sulla veridicità della notizia nell’articolo tratto da Vita.it
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