Letteratura&Social
Lo spazio intimo della cattiveria
In 22 Gennaio 2024 da Debora BorgognoniCos’è la cattiveria?, mi chiede. È frustrazione, rispondo. Detto così, sembra semplice. Ma non lo è mai, se il dialogo è tra scrittori. C’è qualcosa di buono nella cattiveria?, mi chiede. No, mai, rispondo. Perché; perché essere così categorica, definitiva? Perché la cattiveria è un disequilibrio, e mentre tende a un nuovo equilibrio, mentre lo cerca e prima di trovarlo, è un male che crea piccoli germogli. Se rimangono piccoli, è un male a bassa intensità. Se diventano piante, è un male attuato, concretizzato, e non è più possibile estirparlo. Il pensiero del male è male stesso? Sì, è frustrazione, e la frustrazione fa male. A te, sicuramente. Agli altri, anche. A volte; forse sempre.
E ora entra in gioco Marguerite Yourcenar, perché qui il dialogo finisce. Lo scrittore che fa domande senza dare risposte alla scrittrice ci avrà certo ragionato, ma ha spostato il pensiero altrove, forse l’ha venduto ai suoi allievi. E allora, ora, mi rimane Marguerite Yourcenar.
Le public qui cherche des confidences personnelles dans le livre d’un écrivain est un public qui ne sait pas lire.
Giriamola un attimo: lo scrittore che cerca delle confidenze personali nel libro di un altro scrittore, peut-être, è uno scrittore che non sa scrivere?
Ma davvero siamo tutti così originali? Davvero non facciamo di ogni persona incontrata un découpage per creare il nostro personaggio? Di ogni frase ascoltata, una babilonia verbale di dialoghi tra i nostri eroi? Di ogni luogo visitato, un collage di dettagli, di odori e di sapori per le nostre maniacali descrizioni?
Il postmodernismo non ci ha forse abituati a copiare e a ricollocare con un leggero ritocco tutto ciò che già esisteva? L’ho più volte chiamato contenitore o discarica, e in effetti è attraverso la nuova collocazione che la letteratura (o le narrazioni, in generale) trovano una nuova sostanza pur mantenendo intatta la forma. In quest’ottica, allora, uno scrittore che sposta un dialogo confidenziale in un contesto pubblico, e poi lo risposta in ambito privato, aggiungendo man mano pezzi, idee, non è un ladro, è solo un creatore di personaggi e storie che ha scelto come luogo deputato alla suspension of desbelief un social media.
Rimane il problema dell’etica, se possiamo ancora parlarne in un mondo che vive del mito del tempo reale.
Il sogno di Roland Barthes, nella creazione del nouveau roman, di combattere la violenza della letteratura che mira alla lotta di classe, e di assistere quindi alla nascita di un linguaggio purificato dalle distinzioni sociali, sta per essere esaudito attraverso il narcisismo nichilista dello scrittore, che di fatto sembrerebbe rappresentare la tendenza al nichilismo tout court, quello di un’epoca.
Un ulteriore aspetto emerge prepotentemente dalle logiche attuali che guardano al mondo virtuale come conseguenza di questo nichilismo. I rapporti umani sono permeati da una comunicazione continua ma “on-screen”, un mondo dove tutto è lecito ma facilmente dissacrabile e dissolvibile.
[…]
Il virtuale, nei social network, è un mondo inconsapevole, o un non-mondo senza responsabilità. E cos’è in fondo la letteratura? Cosa la distingue da quell’idea di amore rappresentata da un nome, da una descrizione, che siano «occhi a mandorla, naso affilato e una grossa treccia di capelli, camminata altera e andatura da cerbiatta» di Fermina Daza, o una «risata stridula» che mostra i «denti di lupatta» di Angelica Sedara, o una «bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere» e «occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un azzurro stoviglia» della Signorina Felicita, poi universalizzata per il godimento del lettore?
Il mondo social è quel limbo dove anche uno scrittore cede a un amore che pure non si priva di istinti erotici e di un sentimento completo ma senza oltrepassare la linea dello schermo, senza trascendere quella sorta di suspension of disbelief così come teorizzata da Samuel Taylor Coleridge nella sua Biographia Literaria. Ed è proprio questo il punto che lo rende assimilabile al romanzo.
[…]
Forse lo spirito del tempo, il Zeitgeist di oggi, di questo clima che tende al futuro pur nel mito del tempo reale, va ricercato negli scritti della subcultura social, nelle pieghe di una community che è molto più di comunità perché ne comprende due specie: quella virtuale e quella reale. È da ricercare in un dualismo che si intreccia e si scioglie senza sosta (per poi re-intrecciarsi, ri-sciogliersi e mutare fluidamente, come insegna Zygmunt Bauman).
Una cosa è certa: se siete particolarmente sensibili ai furti, state alla larga da scrittori che vi chiedono opinioni e idee intime. Quello spazio, regaliamolo alla vita dei nostri personaggi, e lasciamolo, se possibile, attraversare da chi non venderà la nostra anima.
Ma questa è già un’altra storia, perché parlandone qui, ricollocandola, postmodernizzandola, mi sono già un po’ vendicata.
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