Appunti Erotici . LUSSURIA
La maison privé(e)
In 19 Novembre 2016 da La Comtesse
Questo luogo è nullo. Un luogo inesistente. Una città invisibile, à la manière de Calvino.
Non mi fraintenda, amica mia. Esiste, ma solo nel momento in cui scarti il pacco. E il pacco, oh sì, è davvero ambiguo, sa? Con quella coccarda anonima e dozzinale, che non si addice certo a una donna come me. Lo guardi, e non ti ci riconosci. Subito dopo ne provi timore, una strana eccitazione pervade lo stomaco, perché è risaputo che le donne amano i regali. E quel senso di rozzo intimamente ci piace. Ci piace poter dire che una cosa è sporca, che non è alla nostra altezza, che non possiamo farne parte. Apriremo la scatola un solo istante, una sbirciatina, ci nascerà il sorrisino dei grandi avvenimenti, quelli davvero maliziosi, quelli scomodi. E chiuderemo, al diavolo!, noi donne non ammettiamo dipendenze, né tantomeno imbarazzo.
È una cosa molto concreta, non mi guardi stranita, e cerchi di capire le metafore, se vuole godere del momento. Se vuole godere con me, intendo.
Sono entrata in totale anonimato. La preparazione è stata minuziosa. Gli occhiali da sole scuri non si abbinavano con il tempo piovoso, ma erano necessari. Non indossavo lingerie, solo collant di pizzo, un abitino di seta e stivaletti con tacco a spillo. E un grosso cappello, certo, per tornare a ciò che era davvero necessario. Sapevo che sarei rimasta con i capelli sciolti e il tatuaggio ben in vista, ma come ho detto, quel luogo comincia a esistere solo dopo averlo scartato.
C’era odore di feu de bois e cannella. Era un odore fumoso, creato artificialmente. Pare ovvio, dirà lei. Non ci si trovava certo in una foresta umida, al cospetto di un fuoco acceso sulle sterpaglie. Non può immaginare quanto invece sia adeguata la similitudine. Ed è per questa somiglianza a una foresta umida che ti sorprendevi a constatare che l’odore era come un vento fatuo, che quel luogo era costruito sui tuoi demoni.
I miei abiti li ho lasciati nel purgatorio, e così tutti i miei titoli. Sa, amica cara, crediamo di essere liberi quando ci troviamo nudi. E invece siamo solo anonimi, corpi più o meno belli, più o meno giovani, mediamente miserevoli. Ah, dirà lei, è quella la libertà. Ma libertà non è forse compiere una scelta?, non è forse decidere quale maschera indossare, quando renderla parte del nostro volto, quando godere di quella vanità?
Il purgatorio – l’ho chiamato – era una camera secca, l’odore era sparito. La musica no, quella non l’avevo percepita all’inizio. Ora invece era forte. Canzoni commerciali, non solo musica, a dirla tutta. Ho solo capito che erano state scelte perché emettevano gemiti.
Avevo addosso qualche oggetto. Una borsa, due asciugamani, ciabattine scure. Due preservativi nella borsa, un paio di miei feticci pure. Ma non sia troppo curiosa, ma chèrie, tempo al tempo.
E poi il caldo, quello che avvolge le cose e lascia le goccioline nell’aria, in quel sapore di vita, di sessi mischiati, quel caldo che ti fa capire che finalmente sei all’inferno. Si ricorda la poesia di Baudelaire, Le Rebelle? Io ero L’Ange furieux, quello che: dit, le secouant: «Tu connaîtras la règle! (Car je suis ton bon Ange, entends-tu?) Je le veux! […]». Si fa presto a compiere la metamorfosi, proprio perché quegli abiti li hai lasciati in quello spazio sospeso tra il desiderare e il perdersi.
Ma non è stata una gran perdita, tutto sommato. Nessuno mi conosceva. Io ero chi volevo essere. Adesso che siamo qui insieme, guardi con me. Vede questo piccolo neo sul pube? Lei non l’ha notato, forse, ma quell’uomo (quanti anni può avere, secondo lei?), lui l’ha guardato per qualche secondo, quando io ho allargato le gambe, qui, sul piano del bagno turco, e il suo respiro si è fatto affannoso, e non l’ha nemmeno voluto nascondere.
Prima era di là, in quella stanzetta dall’odore di detergente, con le dormeuses in finta pelle pitonata (a proposito, qui è tutto in finto-qualcosa, l’ho detto che è una pacco rozzo che si scarta con l’ansia di godere di un regalo), era in piedi e si toccava vistosamente perché assisteva a due spettacoli. Il primo era dato da un film. Il secondo era la replica dal vivo, davanti ai suoi occhi. Nel film la donna godeva ma lo si percepiva soltanto dalla mimica facciale, perché l’audio era azzerato. Dal vivo, la donna tratteneva il respiro. Silenziosa e incredibilmente più finta di quella che di là, dall’altra parte dello schermo e chissà in quale tempo complementare, recitava.
Mi piace osservarli, quando sono qui. Lo faccia anche lei. Non è morbosità, la mia. O forse lo è, una morbosità che ha a che fare con la giustificazione che poi lancerò nelle mani di quella donna vestita che uscirà per strada, che in quella camera secca avrà l’ultimo guizzo di impudicizia, si chinerà in avanti, nei suoi tacchi a spillo, a recuperare il cappello, si abbasserà a terra a raccogliere gli occhiali, ed entrambe le volte scoprirà il culo nudo sotto l’abitino di seta, perché le calze di pizzo lo lasceranno intravedere senza mutandine, e lo sconosciuto dietro di lei storcerà la testa per guardarla, abbasserà leggermente gli occhiali e si toccherà appena sopra i pantaloni.
Ma questa giustificazione arriverà più tardi. Le ho raccontato le storie passate, mi piacerebbe poter raccontare anche quella di oggi. Andiamo, amica, di sopra i letti sono comodi, gli specchi li accerchiano e le tende sono fatte per essere scostate piano da chi vorrà guardarci. I demoni scalciano, e lei ha preso a sudare. C’est l’amour, ma chère amie, l’audacia di un attimo e poi l’oblio.
Racconto coperto da copyright © Debora Borgognoni – Tlà Comunicazione. Riproduzione riservata.
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Bellissimo articolo .
La Divine ringrazia…