Le opinioni superbe . SUPERBIA
The Doors – Storia del primo contratto discografico
In 14 Dicembre 2015 da Debora BorgognoniRock, psichedelico, blues, acid rock. Solo definizioni. E poi un debutto, il 27 gennaio 1967, a Los Angeles, California, per cui sarebbe un peccato soffermarsi su semplici definizioni.
Stiamo parlando del lancio, per opera della Elektra Records, del primissimo album della band The Doors composta da: Jim Morrison, voce, carismatico poeta ventitreenne, figura emblematica che non faticherà a ricevere l’appellativo di leader. Ray Manzarek, ventotto anni, musicista a tuttotondo, con una particolare caratteristica: suona organo e basso insieme, ciò significa che il suo Rhodes Piano Bass sta appoggiato al top piatto di un Vox Continental. Robbie Krieger, ventiquattro appena compiuti, chitarra tendente al flamenco, con l’amore per la cultura indiana e per la meditazione. John Densmore, ventidue anni, batteria jazz-blues che fa da seconda voce a Morrison perché segue direttamente le parole delle canzoni.
The Doors è il nome della band e il titolo dell’album. The Doors of Perception, pubblicato nel 1954 da Aldous Huxley è un saggio scritto sotto l’effetto della mescalina, un alcaloide psichedelico contenuto nel peyote. E proprio da questo libro psicologico-psichedelico, in cui spicca una frase di William Blake: «Se le porte della percezione fossero spalancate, all’uomo tutto apparirebbe come realmente è: infinito», Jim Morrison e Ray Manzarek hanno tratto il nome della band durante il loro primo incontro sulla spiaggia di Venice, due anni fa, e sigillando così il destino di queste quattro personalità uniche e così diverse, ma magnificamente compatibili.
«Non è un segreto che il giorno uccide la notte, e la notte squarta il giorno. Ho tentato di scappare, ho tentato di nascondermi. Sfonda le barriere che ti bloccano il cammino […]» Break on through comincia così, e a sua volta dà il via all’album. Dà il via a quel tentativo perenne e contrastante di sfondare le barriere, a quella notte e a quel giorno che si alternano uccidendosi a vicenda e a quella strada su cui il cammino è sempre un po’ tortuoso.
Perché «i giorni sono luminosi e pieni di dolori. (The Crystal Ship)», perché «il tempo di esitare èpassato; non c’è tempo per rotolarsi nel fango (Light my fire)», i The Doors vogliono seguire quella strada, vogliono viaggiare attraverso le porte della percezione. «Prendi l’autostrada per la fine della notte, fai un viaggio verso la splendente mezzanotte (End of the night)», «Siamo sulla nostra strada, non possiamo tornare indietro, bambina (I looked at you)». Vogliono un «tempo di camminare, tempo di correre, tempo di puntare le tue frecce sul sole (Take it as it comes)» e chiedono «Lasciami dormire nella tua cucina dell’anima, scalda la mia mente accanto alla tua mite stufa (Soul Kitchen)».
L’omaggio al bluesman Willie Dixon arriva con Back door man, che nel linguaggio slang dei neri americani, quello stesso linguaggio nato per non farsi capire dai padroni bianchi, significa l’uomo che esce dalla porta sul retro, e quindi l’amante, mentre Alabama Song è stata scritta in origine dal drammaturgo Bertolt Brecht con la collaborazione del musicista Kurt Weill per l’opera teatrale Ascesa e caduta della città di Mahagonny.
Abbiamo lasciato per ultima The End, e non perché il titolo lo suggerisca. La canzone, che ha aggiunto man mano pezzi al Whisky a Go Go di Los Angeles, arrivando alla durata di 11 minuti e 40 secondi, ha in sé una sorta di simbolismo Blakeiano, un decadentismo perverso alla Poe, pessimismo e influenze beat, Hawthorne, Ginsberg, Kerouac. Ma c’è anche un complesso di Edipo che denuncia un’infanzia sofferta, c’è un puzzle di vite e di storie che convergono in una: quella di Jim Morrison.
La fine dei nostri piani elaborati, la fine di tutto ciò che esiste, la fine, senza scampo né sorpresa, non guarderò mai più nei tuoi occhi.
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