Le opinioni superbe . SUPERBIA
L’autunno, perché…
In 31 Ottobre 2021 da Redazione Seven BlogAutunno, stagione dorata. A Seven riflettiamo sul tema e scriviamo raccontini superbi!
da Debora
Une vie
L’aria, e i ciottoli, e i muri odorano di bagnato, pensa mentre passeggia nel parco di Place des Vosges. E quel cartello là, che segna il nome della piazza, proprio sotto la casa di Victor Hugo, che tanto miserabile non era, sembra stia piangendo. È normale che l’aria sia bagnata, dice sottovoce. Qui pioviggina sempre. E non so mica se preferisco l’umido o il vento gelido che spazza via ogni odore.
Avvolto nel suo sacco a pelo, il clochard sotto i portici sbircia ogni tanto nella direzione di un gruppo di ragazzi, verso un filo di luce dorata dell’autunno. Chissà cosa sta pensando. Che sono scurrili. Che vivono inconsapevoli del calore dei loro corpi, e portano piegati sull’avambraccio i bei giubbotti da duecento euro – ce l’hanno tutti, io perché devo essere diverso? – e dicono che le loro madri sono fissate con l’ansia per le polmoniti e le bronchiti e le riniti e le tonsilliti.
Ma lui è un vecchio, e pensa in modo confuso. Le sue idee sono trascinate dai ricordi e dalle associazioni mentali, come mappe concettuali storpie, che nascono e finiscono quando il campo visivo si riempie di altri colori.
I colori dell’autunno, pensa. E i piedi entrano in una pozzanghera, un’imprecazione lieve, una smorfia sotto i baffi. Si aggiusta i pochi capelli bianchi, che sembrano fin azzurri sotto quel cielo, appiccicati alla fronte dall’umidità.
È solitudine, quella del clochard, ed è così diversa dalla mia?
Place des Vosges piange, Victor Hugo controlla, e sotto le sue dita i miserabili vivevano in ben altra Parigi. Io sono miserabile? Il clochard lo è? O lo sono i ragazzi coi bei giubbotti, stretti gli uni agli altri a fare branco, eppure inconsapevoli del fardello della vita, con gli occhi pieni di un’eterna primavera?
I colori dell’autunno, pensa. Parigi è gialla, rossa, arancio-verde, ogni tanto un tocco di grigio argentato, e l’acqua degli scoli lungo i marciapiedi diventa un piccolo fiumiciattolo per le foglie, che come barchette sono trascinate dal vento e dipingono le strade. La stagione più bella, in questa eterna città indolente. Anche per i miserabili come noi.
da Manuela
A come Autunno
Una donna, coraggiosa ma fragile, si avvicinò alla finestra,
e scostò le tende.
Un filo d’ocra penetrò irrispettoso la stanza.
La signora scrollò le spalle, con rassegnazione e fastidio.
Allora, chiuse gli occhi.
Poi li riaprì, fissò il crocifisso, sospirò.
Infine si guardò la mano.
L’incarnato marrone e grigio, le dita nodose come di certi rametti.
E il segno bianco sull’anulare.
Trasalì.
Leonard, sussurrò.
E si sentì viva e stanca allo stesso momento.
E i pensieri presero la forma del rosso d’acero.
Abbassò gli occhi, umidi di lacrime.
Attese un momento,
e finalmente si specchiò.
La pelle raggrinzita, le palpebre cadenti, i capelli bianchi e radi.
Pianse, perché non era più possibile trattenersi.
D’un tratto si sentì toccare la schiena.
Sollevò la testa, si guardò attorno.
Non vide nessuno, eppure aveva capito.
Di nuovo, davanti allo specchio,
osservò il riflesso, senza più dolore.
Sorrise al sorriso di due occhi neri e giovani.
Oltre, solo il mare.
Sei tu!
E una raffica gentile la travolse,
per l’ultima volta.
da Chiara
Metafora
Sdolcinate odi all’autunno, alla ricchezza di colori e profumi, alle castagne e alle zuppe di zucca, non vi temo.
Ah, che bello l’autunno.
Metafora dell’avanzare dell’età: prima del freddo inverno – leggi “quando sei vecchio e vedi la fine davanti, sai che tanto manca poco e poi schiatti” -, è l’autunno la stagione delle sfumature, dei tramonti più limpidi e azzurri, del calore avvolgente del sole che non brucia ma scalda. Non l’incertezza della primavera o l’impeto dell’estate: la cosa più bella, la pacata discesa del tempo verso la sua fine. Saggio è l’autunno, stagione senza spigoli o sorprese – leggi “stai invecchiando, tutto ormai rimane com’è, rassegnati e pensa al colesterolo, alla vista che cala, all’esame dell’udito. Dove credi di andare, cosa speri di fare? Il tempo delle rivoluzioni per te è passato, copriti bene mentre osservi i cantieri”.
Ah, che bello l’autunno. Quando tutto ormai è stato, non ci sono più fiori da piantare nei vasi ma foglie morte da rastrellare aspettando la neve.
Ah, che bello l’autunno. Romantico e quieto, mutevole nella sua splendida prevedibilità. Zitto, zitta, ormai non hai più nulla da sognare.
A noi, amanti dell’autunno e non della metafora stucchevole e rassegnata, non resta che aspettare il solstizio d’inverno e continuare le rivoluzioni.
da Gianluca
L’autunno non esiste
L’autunno è la stagione più sfortunata di tutte. Arriva subito dopo l’estate che è la stagione più amata e, per forza di cose, ognuno la vive con rammarico. Zanzare a parte, tutti rimpiangono le belle giornate estive con la luce del sole che ti accompagna fino a sera. L’autunno è un limbo tra le agognate vacanze che sono appena terminate e il Natale che incombe come una spada di Damocle sulle nostre teste.
Per esorcizzare il primo freddo, i primi temporali e le giornate più corte dell’anno, siamo costretti a concentrarci sul prossimo obiettivo. Così, negli scaffali dei negozi, i panettoni prendono direttamente il posto delle infradito, cancellando, di fatto, l’autunno dalle nostre vite.
Nelle strade, le luminarie natalizie prendono il posto delle pubblicità delle sagre e, negli zaini, il cappellino di lana sostituisce il fodero degli occhiali da sole.
Da un giorno all’altro passiamo dall’estate all’inverno dimenticando che l’autunno servirebbe al nostro organismo per adattarsi al cambiamento.
Senza che ce ne accorgiamo, la crema solare si trasforma in quella nutriente alle mandorle che protegge dal freddo e, nel cofano delle auto, magicamente, l’ombrellone diventa un ombrello da pioggia.
L’autunno non esiste e non è colpa dei cambiamenti climatici. L’autunno non esiste perché non c’è più tempo per le mezze stagioni.
Caldo o freddo, estate o inverno, bianco o nero.
Le sfumature ci hanno sempre fatto paura.
da Giorgio
Sta arrivando l’autunno
Lei alzò gli occhi al cielo e disse «Sta arrivando l’autunno».
Le foglie avevano perso un po’ di linfa, è vero. A guardarle attentamente, i bordi avevano cominciato ad arricciarsi, e le punte a ingiallire. E, per tutto il giorno, quando una nuvola passava davanti al sole, un brivido scorreva lungo il braccio.
La sua mano era fredda. Lei ha sempre avuto le mani fredde. Anche d’estate, dovevo prenderle fra le mie e soffiarci sopra. E di questo sorrideva, con quel sorriso a metà che è solo suo. Su qualunque altro volto lo scambiereste per una smorfia maliziosa, ma sul suo viso, dovreste vederlo, sembra l’invito più dolce che possiate mai ricevere.
E quando quel sorriso era per me, non potevo non accarezzarle la guancia. Era un gesto involontario, come asciugare istintivamente una lacrima, o spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio solo per sfiorarle la fronte.
«Sta arrivando l’autunno» disse. Poi fissò i suoi occhi nei miei e notai che erano lucidi.
Era stata lei a portarmi lì. Aveva insistito perché andassimo a salutare il giorno proprio su quella panchina.
«Portami lì» mi aveva detto. Ma nella voce c’era una piccola crepa. Talmente piccola che l’orecchio non la distingueva. Ma il cuore sì. E così, mentre le ombre si diluivano, mi prese la mano e quasi dovette trascinarmi, perché i piedi mi erano diventati di colpo pesanti.
Lì avevamo trascorso il primo scampolo di notte insieme. Lì ci eravamo baciati per la prima volta sotto le stelle. Lì, per la prima volta, avevamo visto la luna, mano nella mano.
Io mi sedei sul marmo e lei sulle mie gambe. Rimanemmo in silenzio. Lei persa con lo sguardo sulle sue mani. Io che cercavo di accordare il mio respiro al suo. E di comprendere la natura di quel silenzio. Ma non avevo la forza di chiederglielo. La verità è che avevo paura della risposta.
Quando, finalmente, trovai il coraggio di prendere le sue mani fra le mie, per scaldarle, lei alzò gli occhi al cielo e disse «Sta arrivando l’autunno».
Poi, con gli occhi spenti, disse «Ti amo».
Ma quelle parole avevano un suono diverso dal solito. E, per la prima volta, non riuscii a ripeterle.
Lei liberò le sue mani dalle mie e si asciugò una lacrima.
Poi, prese le mie mani e se le portò in grembo. Le premette forte. Tremavano.
Lessi nei suoi occhi la paura. Allora, distolsi lo sguardo e presi coraggio. «Devi dirmi qualcosa?» le chiesi.
Lei si morse il labbro, poi premette ancora più forte le mie mani sul grembo.
«Su, dimmelo» ormai ero pronto, e le mani non tremavano più.
Lei prese fiato, provò a parlare, ma la voce non usciva. Si morse di nuovo il labbro, poi prese nuovamente fiato e «Che nome ti piacerebbe?» mi chiese.
«Che nome? Perché?»
«Per lui… o lei…»
Le accarezzai il grembo, poi il volto. Sorrisi.
E i suoi occhi tornarono a splendere.
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