Le storie superbe . SUPERBIA
L’ira
In 1 Aprile 2016 da Viviana Gabrini“E così capirà anche lei che purtroppo non c’è più posto nella nostra azienda. Mi creda, ci dispiace davvero, ma dobbiamo rinunciare alla sua collaborazione”.
Mentre il responsabile dell’ufficio personale terminava la sua omelia con autoassoluzione finale annessa, mi ritrovai a pensare che il colore verde sbiadito della sua camicia strideva sgradevolmente con il fuxia finto-giovane degli occhialetti da presbite, ma in compenso armonizzava col pallore giallognolo della carnagione.
E così ero fuori. Licenziata.
Gli ultimi diciassette anni della mia tranquilla vita lavorativa li avevo spesi per una ditta che mercanteggiava pezzi di macchinari enologici in giro per il mondo.
In diciassette anni, tre sole brevi malattie e un congedo per un lutto in famiglia facevano di me la dipendente con il minor numero di assenze. Mai un ritardo, anni di straordinari senza recriminazioni, riconosciuti in busta per il trenta per cento, fuori busta per un altro quaranta, il resto simbolicamente regalato al benessere e alla prosperità dell’azienda.
Immersa nei miei pensieri, realizzai che il colloquio era terminato quando vidi il responsabile dell’ufficio personale alzarsi e tendermi la mano.
“E venga di tanto in tanto a trovarci” ebbe il coraggio di aggiungere con tono vagamente paternalista. Gli sorrisi timidamente, come probabilmente si aspettava che facessi. Mi alzai a mia volta e tornai in ufficio, fra gli sguardi più o meno compassionevoli dei colleghi che già sapevano.
Non ero particolarmente amata, non amavo nessuno. Nella catena aziendale delle angherie lavorative, io ero considerata uno degli anelli deboli e ne ero consapevole. Nessuno immaginava che quella apparente debolezza, quella mite timidezza, nascondessero un sostanziale disinteresse per la maggior parte delle persone e degli eventi in cui inciampavo.
Andai in magazzino, raccolsi un paio di cartoni e presi a vuotare i cassetti della mia scrivania con calma, ordine e raziocinio. La stessa calma, lo stesso ordine e lo stesso raziocinio con cui, in quei diciassette anni, avevo emesso e archiviato fatture. Il mio senso dell’ordine e la mia maniacale puntigliosità erano stati il mio punto di forza. Organizzare e riordinare gli archivi per me non era un lavoro oneroso, ma un piacere sottile che dava un senso alle mie giornate e forse alla mia intera esistenza. Chiusi i cartoni, salutai tutti con un “buona giornata” a mezza voce e salii in auto per tornarmene a casa.
Quando feci ritorno in azienda, la sera stessa, erano da poco passate le nove. Con una copia delle chiavi d’ingresso che mi ero fatta anni prima, entrai negli uffici. Avevo sempre amato quel momento del giorno in cui le stanze erano deserte ed io mi ritrovavo sola a domare i miei archivi e le mie amate pile di scartoffie. Con la stessa meticolosità con cui avevo lavorato per l’azienda, versai litri e litri di benzina su ogni mobile, scaffale e computer, poi diedi fuoco a una palla di stracci e la lanciai al centro della stanza.
Prima di risalire in auto, osservai il mio lavoro con un sorriso. Le fiamme stavano distruggendo tutto. Mi complimentai con me stessa: precisa, pignola e meticolosa. Come sempre.
L’immagine di copertina è di William Blake e si intitola Il grande drago rosso e la donna vestita di sole.
Viviana Gabrini è scrittrice. Recita e fotografa per passione, e le piace fare la blogger. Ha pubblicato il libro I fili di Arianna per Primula Editore.
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