Le storie superbe . SUPERBIA
Il vagabondo
In 9 Ottobre 2022 da Claudia OlivaErano trascorsi vent’anni e l’ormai anziana Ellis si sedeva tutti i giorni davanti alla porta. Gli abitanti del villaggio sapevano che era il suo modo per sognare il passato e la gioventù, guardando un mondo di cui non faceva più parte.
Lei, però, aveva una ragione per stare lì, e quella mattina, quando vide il vagabondo risalire la ripida stradina e dirigersi verso l’unico albergo del paese, seppe che la sua attesa era terminata.
Indossò la mantella per riparare le piccole spallucce acciaccate e uscì di casa, incuriosita.
Con grande sorpresa, l’uomo non entrò dentro il luogo di ristoro, ma si diresse verso il lago ghiacciato.
Con l’arrivo della neve l’atmosfera si fa più dolce, ammantando le montagne intorno allo splendido specchio d’acqua.
Più i passi dell’uomo si facevano svelti, più il cuore della donna correva veloce.
Pensò che se quello fosse stato il momento di morire, l’avrebbe accolto volentieri.
Lui, con bombetta in testa, cappotto elegante e stivali scuri, si voltò per un istante, come chi sa di essere seguito e vuole alimentare l’attesa con gli occhi.
Era come se lo sconosciuto provenisse da una vita lontana, una realtà a cui aveva quasi rinunciato, un calore ormai dimenticato.
«Fermatevi, vi prego», urlò la donna stremata.
L’uomo si voltò di scatto e lei rimase incantata a fissare i baffi perfettamente curati.
«Perdonatemi, ma era qui che dovevamo incontrarci», omaggiandola togliendosi il berretto.
«Sì, è qui che ci siamo conosciuti», rispose.
L’uomo si tolse il cappotto, lo poggiò tra i fili d’erba innevati e fece cenno con la mano di sedersi giù insieme a lui.
«Il tempo per me è passato, non credo di riuscire a sedermi qui con voi come una volta».
Il taciturno signore la zittì portando l’indice tra le labbra socchiuse e avanzò una proposta: «Allora, un ultimo ballo?».
«Se voi mi guiderete, penso proprio che ce la farò».
Si udivano dei dolcissimi canti provenire dal villaggio, erano dei fanciulli fuori da una chiesa.
L’anziana donna si sentiva leggera tra le braccia affascinanti, ma non riuscì a mantenere viva quella leggerezza, ad assaporarla completamente: ormai era svanita, insieme alla sua giovinezza.
«Come fate a essere ancora così, così bello?», lo sguardo si fece incerto, le gambe iniziarono a cedere.
Lui si fermò come se la musica cessasse di colpo, ma i canti continuarono ad andare avanti.
Si fece serio. Gli occhi della donna si scavarono tra le borse del tempo, e persa tra i silenzi dell’uomo, proseguì: «Che vi è successo, Sven?».
L’espressione dell’uomo si fece più triste. «Sono venuto a prendervi, dolce signora. Avete atteso a lungo, ma ora purtroppo non c’è più tempo».
«Oh, siete voi quindi, non siete il mio dolce Sven?», più delusa che impaurita.
«Stasera sono chiunque vogliate che sia. Ho messo in viso la maschera più gentile e il vestito più caldo per avvolgervi nell’ultima notte.
«Come mi porterete via dunque?».
«Scegliete voi».
«Con un mazzo di fiori, tutti dovrebbero salutarsi con un mazzo di fiori».
Lo straniero s’inchinò davanti all’anziana donna, e con una mano le porse un mazzo di rose bianche sul petto.
Diventarono rosse. La lama nascosta al loro interno la colpì.
Ma l’angelo della morte quella sera fu gentile fino in fondo: non lasciò cadere il corpicino tra la neve, bensì l’accolse subito tra le braccia.
Poi l’avvolse col cappotto, e insieme scomparvero dentro il lago ghiacciato.
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