IRA . Lettere dall'Ira
Amore, ritorna
In 2 Febbraio 2018 da Chiara MenardoTi prego, torna. Non so come fare a sopravvivere senza averti qui, vicino a me. Ti supplico, non succederà più.
Lo so che te l’ho detto milioni di volte, ma davvero, ti giuro, non lo farò più, basta che tu ritorni con la valigia e i bambini, basta che tu torni qui per vedere, toccare, per ve-ri-fi-ca-re.
Ti prego, io ti perdono. Dimentichiamo tutto, una pietra sopra e ricominciamo.
Ti perdono per avermi lasciato, prometto che questa volta non ti toccherò, sarò paziente, sono davvero cambiato, ho capito. Cercherò, mi sforzerò di controllare i miei scatti.
È solo che ho una vita bastarda, lo sai che il lavoro fa schifo ma non riesco a trovare nient’altro, il capo mi sta sui coglioni e non posso dire niente, non posso prenderlo a pugni come meriterebbe, posso solo chinare la testa e stringere forte le mani sul bordo della scrivania, in ufficio. Posso solo ingoiare la rabbia.
(Hai capito perché mi aspetto, quando torno a casa, che sia tutto a posto, esattamente come piace a me? Almeno a casa mia voglio che tutto fili liscio, senza problemi, ho bisogno di rilassarmi e stare tranquillo: sedermi, mangiare in pace insieme a mia moglie che è bella e mi aspetta con la gonna, un sorriso e un piatto di pasta, truccata e dolce come l’ho conosciuta, come l’ho voluta. Invece arrivo a casa e sei sfatta, con la maglia sformata macchiata di sugo e mi sbricioli il sogno, la mia oasi si secca e sparisce come un miraggio in mezzo al deserto.)
Sono stanco, lo sai, a volte ho perso un poco il controllo. Lo so che hai dovuto mentire quella volta al pronto soccorso, e te ne sono tanto grato. Non dimentico il gesto che hai fatto, ma ricorda che avevi alzato la voce con me per quella bolletta…
(Tu sai che con me non si grida, che quando urli mi ricordi quello che devo sopportare in ufficio. Quando sono a casa mia io devo stare tranquillo, questo è il mio spazio e qui posso fare tutto quello che voglio, capisci? Non mi puoi gridare in faccia come fa il mio capo, capisci che non puoi proprio? Con lui non posso reagire, ma con te… Un uomo ha bisogno di sfogarsi.)
Non rivanghiamo però, vuoi? Non recriminiamo. Apriamo un capitolo nuovo, una pagina bianca, nella quale il passato non c’è. Anzi, no. Teniamo solo i momenti più belli: tutto il resto, buttiamolo via. Io, te, i bambini e una vita nuova. Ti prego, credimi e torna.
Torna da me, ti prego. Mi sento solo di notte nel letto, non so dove sei, dove siete, mi potrò preoccupare o no? La casa è così vuota, silenziosa, sfatta…
(Non che stia con te perché passi lo straccio per terra, ma è quello che una donna deve fare, giusto? Vi hanno cresciute per quello, per mettere a posto e amare i vostri uomini, per tirare su i figli e avanti la casa. Lo so che sei stanca, che lavori tutto il giorno al negozio, e sai cosa? Non mi piace, eppure IO sopporto in silenzio quegli uomini che entrano e ti guardano, e secondo te come faccio a sapere se ti chiedono solo una maglia o qualcosa di più? Impazzisco all’idea, divento matto pensando che qualcuno, oltre a me, ti possa parlare, toccare. Se non avessimo bisogno di soldi, in casa staresti! Chiusa in casa a fare la moglie, lontana da sguardi di altri che pensano a te, nuda, e so che in fondo ci godi, al pensiero. Civetta, ho una moglie un po’ zoccola che fa la santa e, sotto sotto, adora farsi guardare. Ci ho provato a fartela passare e tu niente, neghi, continui a dire che no, non è vero, anche se ti torco le braccia e ti scaravento con forza sul muro… che troia. Vedrai, ti farò passare anche questa, di voglia)
Torna a casa, e apriremo un nuovo capitolo, una storia nuova di zecca, solo per noi.
Per favore, rispondi al telefono. Schiaccia quel tasto sullo schermo e rispondi. Smetti di dire a tua madre che non vuoi parlare con me, ho diritto di parlare con mia moglie. E i bambini? Come stanno, come possono crescere senza il loro papà, ci hai pensato? Siamo una famiglia e una famiglia è per sempre, nella buona e nella cattiva sorte: hai promesso, ricordi?
(Te ne sei andata per i bambini, perché non crescano con un padre così, non vuoi che crescano con uno come me. Ma sono piccoli, non capiscono, non si rovinano di certo se hanno visto qualche volta un ceffone di troppo. Un ceffone di troppo… ammettilo che lo facevi apposta per provocarmi, se no non faresti tutte quei piccoli gesti che mi mandano in bestia. Come non rispondere al telefono e dire a tua madre che non ci sei, che non vuoi parlare con me, per esempio. Tu torna a casa, che ti faccio vedere come ci si comporta)
Ma ti perdono, anche per questo ti perdono. Ti prego, ritorna, mi scuso se ti ho fatto del male, se ho urlato e ti ho insultata, se ho alzato le mani e ti ho sbattuto la faccia contro la porta, sui mobili, per terra… sono stato una bestia ma ora ho capito cosa conta davvero, contiamo tu ed io, contano i bimbi, conta solo la nostra famiglia.
Per favore, non lasciarmi da solo, torna a casa da me.
(E quando tornerai – perché tornerai, stronza – vedremo se avrai ancora il coraggio di prendere un’altra volta la porta e andare via. Tanto sappiamo entrambi che sei roba mia, e della mia roba faccio quello che mi pare. Tutto quello che mi pare.)
Ti amo. Ti aspetto.
Tuo marito
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