IRA . Lettere dall'Ira
Al di qua del vetro
In 8 Dicembre 2017 da Chiara MenardoTutto questo per dirvi che sono stanco, stanco di tutto. Stanco di credere a voi, che pensate di avere sempre ragione. Stanco di dire di sì e chinare la testa, stanco di essere guardato dall’alto in basso per la barba da fare, l’aria grigia da uomo invisibile, la maglietta un po’ stretta sui fianchi, i pantaloni che cadono male e si vede il taglio in fondo alla schiena, le scarpe consumate ai talloni.
Non mi vedete mai, anche quando mi pianto davanti alle vostre belle facce e ai vostri vestiti appena usciti dalla lavanderia.
Sono Invisibile, e non è esattamente come la donna dei Fantastici 4. La mia non è una vita da supereroe.
Lo sai come si sente un invisibile come me, uno che non conta niente, di poco carattere, che non è così tanto brillante, certo non è l’anima delle feste, uno che lo cercano in pochi perché, tanto, non ha granché da dire? Eh? Lo sai tu?
Te ne frega qualcosa di come mi sento, di chi non sono, di come vivo – o meglio, non vivo? Guarda che ti osservo: per strada, sul tram, sulla metro, cammini con il mento in alto e il passo sicuro di chi ha tutto. O quando ti incrocio ai semafori seduto sul tuo SUV grigio che sembra un cazzo di camioncino di lusso, lustro e potente, mentre io giro con la vecchia UNO scassata, ti guardo e sto attento, controllo se tu, per un attimo solo – basterebbe un istante – guardi in basso da quello scranno cromato e ti accorgi che esiste qualcun altro al mondo oltre a te. Ma, mentre stringi il volante come fosse il seno delle donne che di certo ti porti a letto, non guardi mai giù in basso. Non ti accorgi di me. Forse mi guardi, ma ti dimentichi subito.
Mica mi vedi, e mica ti frega. Perché dovrebbe fregarti qualcosa di me, dopotutto? Non ho carisma, non ho carattere, non ho nessuna di quelle cose che mi renderebbero degno di essere visto, notato, ascoltato, apprezzato per quello che sono.
Così, mi faccio sentire. Oh, certo che mi faccio sentire. Ti prendo di mira e ti seguo, vincente del cazzo. E poi ti distruggo. Dalle 7 di sera all’una di notte, durante i fine settimana anche per dieci, dodici ore di fila. Ti seguo, ti punto, e allora sì che mi ascolti.
Ti obbligo ad ascoltarmi, e mi divertono il tuo fastidio, la rabbia che esce. All’inizio sei educato e conciliante, provi a spiegarmi quella che tu chiami la realtà e io chiamo minchiate da zecca buonista, così scendi di gradino in gradino, dal fastidio alla rabbia, ti trascini verso il fondo e, alla fine, diventi sempre più grezzo, sempre più simile a questo me rabbioso, provocatorio, sicuro. Fai tanto il figo ma in fondo non siamo poi così diversi noi due: si sente che tutti quei congiuntivi corretti che infili uno dopo l’altro come perline di una collana non sono che stucchi su una facciata da buzzurro acchittato da festa solo per fare colpo sulle ragazze, quelle fighe con i tacchi, o per leccare il culo ai tuoi capi, che sono più buzzurri di te ma solo perché hanno più esperienza.
Non mi tratti come un mozzicone di sigaretta buttato per strada adesso, vero? Adesso mi parli, tu. Proprio tu rispondi con la bava alla bocca ai miei sputi e agli insulti e minacci a vuoto un’immagine piccola piccola senza faccia né nome. Io sono qui, ti conosco.
Forse non di persona, ma tu sei quello sul SUV al semaforo, sei quello con il cappottino grigio tutto leccato che passa per strada con il bluetooth appiccicato all’orecchio e la sciarpetta di seta arrotolata con eleganza su quel collo da struzzo snob, sei quella con i tacchi e la gonna corta, i capelli lunghi e gli occhi allungati dal trucco nero, quella con le labbra rosse e il vestito attillato che non mi considera più di uno scarafaggio che sbuca dal tubo del lavandino, che mi guarda senza vedermi quando le sorrido nei bar. Tu sei quella che non mi fumerebbe mai, ma ora lo sento che ti faccio paura quando pesto sui tasti e ti do della lesbica perché una come te, a me, non la darebbe mai. Troia! Crepa, bastardo! Vieni, dai, vieni qui, ti do il mio indirizzo e ti aspetto sotto per gonfiarti di botte! Io ti distruggo, ti anniento! Tu non sei niente, sei un nulla, una zecca, sei meno di una bestia…
Che soddisfazione le sere davanti al mio schermo, sono finalmente qualcuno. Cosa vuoi che mi freghi della verità, della tua verità di vincente, quando posso avere un momento in cui finalmente qualcuno mi vede, mi sente, mi teme, si incazza per quello che dico e che sono? Qualsiasi cosa è pur meglio dell’essere nulla.
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