Le storie superbe . SUPERBIA
Totem
In 17 Luglio 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto terzo classificato (ex aequo) di StorieSuperbe – L’Ira
di Aldo Vozzi
L’enorme dildo rosa confetto mi fissa con aria di sfida dal comodino accanto al letto. Nella penombra della stanza, la sagoma peniforme cattura la poca luce che filtra dalle persiane, restituendola sotto forma di riflessi sbiaditi. Mentre la mia coscienza emerge dalla nebbia delle cinque ore di sonno, il mio sguardo è arpionato dalle venature che corrono e si incrociano lungo l’asta artificiale, rimandandomi, per qualche strana associazione di idee, alle montagne russe della mia infanzia.
Sfregandomi il viso con le mani, mi siedo sulla sponda del letto lasciando correre un brivido lungo la schiena quando i piedi incontrano il marmo gelato del pavimento. Nonostante un guizzo dei neuroni superstiti, l’origine del totem rosaceo continua a sfuggirmi.
Mi rassegno all’enigma e come un morto vivente raggiungo il bagno dove nello specchio mi sorprendo a fissare un idiota che mi squadra di rimando. Viso smunto, occhiaie, un accenno di priapismo mattutino. Alla constatazione delle mie condizioni di forma cado preda di inevitabili riflessioni sulla tragicità dello scorrere del tempo. Immergo la testa sotto un getto d’acqua fredda sperando in una definitiva resurrezione celebrale prima di spostarmi di fronte alla tazza del water dove un impercettibile tremolio nella mano, probabilmente attribuibile allo shock termico, pregiudica drasticamente le mie doti balistiche a beneficio di un tinteggio della parete. Dopo una bestemmia da podio olimpico, ingaggio e perdo una colluttazione con il rasoio da barba. Sconfortato, torno in camera per indossare il completo blu d’ordinanza. Mi porto in cucina dove a causa di un’errata valutazione del rapporto altezza-peso, due macine lasciate cadere nel caffelatte impreziosiscono la mia camicia con nuovi cromatismi.
Con un’altra bestemmia torno in camera per un rapido cambio.
Sono le 7.15 quando riesco finalmente a scendere nell’autorimessa giusto in tempo per calpestare per la terza volta in un mese le deiezioni fumanti del carlino della signora Lanfranchi.
BASTARDO D’UN CANE BASTARDO! urlo a beneficio della vegliarda, quasi certamente nascosta ad osservarmi dietro le tende della finestra che si affaccia sull’autorimessa.
Striscio la suola della scarpa sul cemento lasciando che un accorato SE LO PRENDO LO INCULO! si stemperi in un’eco cupa come il mio umore.
Una tregua arriva con le Variazioni Goldberg che si diffondono nell’abitacolo come un’essenza miracolosa appena avvio l’auto.
Nell’ora di tempo che impiego a percorrere i quattro chilometri che separano il mio appartamento dal luogo in cui si consuma la mia parabola professionale, spoglio visivamente una dozzina di ignare passanti ed ingaggio duelli a colpi di clacson con casalinghe dotate di SUV a reazione. Ad un semaforo passo con il giallo. Il vigile urbano che mi consegna la contravvenzione con la sacralità di un trattato internazionale, sostiene fosse rosso.
Supero l’ultima rotonda coprendo l’urlo delle gomme con svariati appellativi gridati all’indirizzo della madre del pubblico ufficiale ed imbocco il viale aziendale su due ruote, riscrivendo le leggi della fisica con un parcheggio ad angolatura impossibile.
Varco l’ingresso di corsa fiondandomi nell’ascensore. Mentre questo sale con l’esasperante lentezza di un impiegato statale, torno a concentrarmi sull’origine del manufatto fallico. Allo spalancarsi delle porte, l’operazione viene interrotta dall’apparizione di un seno forzatamente compresso in una camicetta in palese sofferenza elastica.
Ti cerca Belotti.
L’informazione giunge gradita quanto un’autopsia e suscita visioni apocalittiche da cui fuggo rimanendo concentrato sul seno.
E che cazzo vuole? penso probabilmente ad alta voce perché sento il seno rispondere E che cazzo ne so?
La scritta a caratteri monumentali CEO mi accoglie al termine di un infinito corridoio che percorro accompagnato da un incombente senso di tragedia.
Mi gratto una palla in cerca di coraggio e con un sospiro busso anticipando il mio ingresso.
Mi cercava?
Aldovocci! Venga!
Vozzi
Si, quello che è.
Appesantito da un cronografo delle dimensioni di un pendulo, il braccio di Belotti mi invita ad accomodarmi su una poltrona tanto bassa da trovarmi gli occhi a livello della scrivania in vetro-titanio, il cui acquisto, secondo indiscrezioni della contabilità, ha assorbito i ricavi dello scorso trimestre.
Il contratto che ha preparato è una merda! esordisce Belotti.
Mentre le parole è una merda risuonano tra le pareti cariche di fotografie che ritraggono la folgorante ascesa professionale dell’uomo che sta attribuendo origini fecali al mio lavoro, cerco di afferrarne appieno il senso. L’impresa si rivela complessa e dopo poco sento il bisogno di rompere il silenzio calato nella stanza.
Nel senso che non le è piaciuto?
Nel senso che fa cagare.
Annuisco gravemente massaggiandomi il mento.
Non saprei come altro definirlo prosegue Belotti incoraggiato dalla mia muta rassegnazione Lei mi delude.
Avverto l’esigenza di dire qualcosa di intelligente.
Mi pare ci siano dei punti di divergenza.
Le sto dicendo che fa schifo. Non si lavora così. Qui pretendiamo il meglio perché noi SIAMO il meglio.
Mentre mi sorbisco l’ennesimo pistolotto sulla filosofia aziendale, rivivo mentalmente le ultime settimane passate a lavorare su un contratto di cento pagine, ostinatamente in lingua inglese nonostante nessun contraente sia inglese e le cui clausole sono state stravolte dozzine di volte dietro istruzioni contradditorie che Belotti dispensava a ritmo di una fotocopiatrice impazzita.
Poi le immagine delle umiliazioni accumulatesi negli anni, dei sabati passati al lavoro, delle notti insonni, del divorzio e della solitudine, si riversano nella mia testa annegando ogni pensiero.
Aldovocci si sente bene? domanda Belotti prima che con uno scatto da pianta carnivora le mie mani ne agguantino il collo.
VOZZI! MI CHIAMO VOZZI!
Mentre la vita del CEO scivola lieve tra le mie dita, sorrido ricordandomi finalmente come, per poche ore, il totem abbia illuminato la mia esistenza.
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Per me,al contrario delaa corazzata Potiomkin, è una figata pazzesca.
Ahahah! Non ne sarà contento Ėjzenštejn, ma di certo il nostro Aldo Vozzi sì! Grazie del commento, che giriamo prontamente al destinatario!