Letti Nuovi . LUSSURIA
Il refrain di un sogno caduto
In 17 Marzo 2018 da Debora BorgognoniIl cuore in tasca e i ricordi in valigia è un romanzo del 2017 di Andreina Moretti, edito da Masciulli edizioni. Si può annoverare tra i romanzi mainstream ad ambientazione storica. Ma forse la Storia, quella canonizzata dai libri di studio, che qui prende in esame gli anni della strage di Piazza Fontana, è solo un pretesto, perché l’autrice la lascia in sottofondo. Non dirà, per esempio, che è il 1969, che qualche mese prima l’uomo ha posato il piede sulla Luna, che quelle lotte tutte italiane, da cui emergono le due facce del terrorismo di colore politico, sono legate a un profondo sentimento di anarchia e di rivoluzione, che arrivano sull’onda di una trasformazione sociale senza paragoni nella storia contemporanea, quella del ‘68.
Erano trascorsi solo pochi mesi dalla sanguinosa strage di Piazza Fontana e l’Italia era in ginocchio, scossa e ferita, ma Daria lo era ancora di più! Non riusciva a capire cosa stesse accadendo al mondo, aveva unito la sua vita a quella di un terrorista; posizionava le bombe in zone affollate, per uccidere un numero cospicuo di persone, la politica era corrotta, i mafiosi manovravano tutti come marionette, e lei aveva condiviso perfino il letto con il nemico.
E non lo dirà perché la vera storia è d’amore. Anzi, ancora di più, è una fiaba.
C’è da dire anzitutto che il romanzo ha un ricco apparato paratestuale, che passa in rassegna più volte elementi come la biografia dell’autrice, la spiegazioni della nascita del romanzo da parte di Moretti e di altri “ospiti”, e le conclusioni sul testo stesso. Il lettore viene quindi informato immediatamente del fatto che quella che leggerà è una storia vera, seppure a un certo punto, nella realtà, venga troncata nel racconto da parte della protagonista in carne e ossa.
Non sono mai troppo felice di ricevere informazioni aggiuntive: per me, lettrice spietata, i personaggi dovrebbero sempre conservare la loro bella dose di mistero, nascere ventenni, per esempio (se di ventenni si parla), e vivere per sempre (se l’autore non li fa morire). Ma non ho vissuto male questa premessa perché, come detto poco fa, la storia presenta tutti gli elementi della fiaba e non viene da pensare che possa invece far parte dell’esperienza di vita vissuta di una clochard. Sono più propensa a credere che la protagonista abbia semmai edulcorato la sua vita e abbia creato, forse inconsciamente, un racconto degno della nuova Biancaneve.
Daria Nervi (nel romanzo, e qui non parlo più dell’apparato paratestuale citato poc’anzi) è sposata a un uomo che viene identificato come un terrorista (di destra? Cioè opposto alle Brigate Rosse e quindi stragista? Non viene chiarito fino in fondo, eppure uno dei compagni del marito viene chiamato “maledetto brigatista”…) e parte per l’Abruzzo quando il marito viene prelevato in piena notte dalla propria abitazione. Comincia così il suo idilliaco soggiorno in una zona di mare, dove finalmente amerà e sarà amata.
Ogni giorno si compiva un miracolo di cui pochi avevano la consapevolezza. «Non si può dormire difronte a tanta bellezza! Domani promettimi che ti sveglierai per guardare l’alba insieme a me!».
«Dipende!»
«Dipende da cosa?»
«Dipende da te!»
«Da me? In che senso?»
«Se mi amerai ogni giorno di più, io guarderò insieme a te il sorgere del nuovo giorno!»
Ma esiste davvero un amore così? Analizzando i romanzi di scrittori emergenti (rif. Lo scrittore emergente in Italia. Analisi di una subcultura nella comunicazione mediale, 2017) mi sono accorta che, pur nelle tematiche spesso distanti tra loro, due elementi fondamentali tendono a emergere nel confronto tra i vari testi: la morte e la narrazione della fiaba moderna. La prima, che ho già sottolineato essere il perno su cui compiere la spettacolarità della fase conclusiva del romanzo, anche qui ha carattere di opsis che arriva al lettore come catarsis. A Daria muore un sogno, la sua vita si distrugge man mano. E Biancaneve torna a essere schiava della sua personale matrigna cattiva. Eccola, la fiaba. Fiaba moderna, s’intende, dove il lieto fine lascia il posto a un cinismo sociale ben presente in quest’epoca.
Sonia non ebbe nessuna pietà di sua cognata. […] pagò l’affitto dell’appartamento, caricò la Peugeot 505 di tutto quello che aveva ritenuto importante e salutò Daria con una stretta di mano, così svanì nel nulla, proprio come dal nulla era arrivata. La povera donna provò a spiegarle che non aveva denaro neppure per tornare a Milano con il treno, che avrebbe avuto bisogno di trovare una sistemazione. Fu allora che capì che stava elemosinando ciò che le spettava di diritto, e si odiò terribilmente per questo, non sopportava l’ingratitudine e l’indifferenza, e con l’ultimo barlume di orgoglio decise di tacere piuttosto che di mendicare!
E la morale? È affidata a Daria, che la argomenta alla fine del racconto. La felicità sta nelle piccole cose, seppure queste le sappiano nascondere da occhi impuri. Bisogna chiudere il cuore in tasca e partire con la propria valigia carica di ricordi. Così il titolo diventa il refrain di sogni caduti e di ricordi da raccontare.
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